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Morto Adelmo Franceschini, “Numero 46737” nel lager nazista: aveva 93 anni

Ex sindaco di Anzola dell’Emilia, è stato un instancabile testimone della barbarie nazista per diverse generazioni. Era stato internato in Germania quando da militare si rifiutò di indossare la divisa della Repubblica di Salò.
A cura di Biagio Chiariello
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All’interno del campo tedesco di Barsdof, dove giunse alla fine del 1943, dopo aver rifiutato di aderire alla Repubblica di Salò, “era solo un numero: il 46737”. Adelmo Franceschini, uno dei 650.000 militari italiani internati nei lager nazisti, è morto all’età di 93 anni ad Anzola, il comune nel Bolognese nel quale viveva e di cui era stato anche sindaco negli anni Sessanta.

Voce dal lager nazista

Aveva solo 18 anni quando fu costretto a scegliere se arruolarsi nelle milizie della Repubblica Sociale di Salò o finire internato in un campo di prigionia tedesco e non ebbe alcun dubbio. Il 4 ottobre del 1943 fu caricato su un treno merci insieme ai suo compagni: un viaggio allucinante che non ha mai dimenticato. Stipati come bestie per nove notti e nove giorni, partirono alla volta del campo di prigionia di Barsdof situato al confine tra Germania e Polonia. Franceschini sopravvisse per quasi due anni alla fame, al freddo e alla fatica, ai lavori forzati in una fabbrica di missili 4 km fuori dal campo, e poi, negli ultimi mesi di prigionia, persino trascinato dai tedeschi sul fronte sul fiume Oder contro i sovietici, a scavare le trincee. Ritrovò la libertà il 1° maggio 1945, ma ritornò a casa solo nel settembre successivo. Per molto tempo Adelmo, come per tanti altri internati sopravvissuti alla barbarie nazista, scelse la strada del silenzio, anche impegnandosi nella politica e nel sociale (alla Camera del Lavoro e poi in Municipio ad Anzola, in Emilia Romagna). Poi, a decenni di distanza da quei fatti, la decisione di raccontare tutto a chi, per ragioni anagrafiche, non poteva aver visto: “Gli onesti non devono tacere”, si disse.  Da quel momento, ha cominciato a diventare una guida per i giovani raccontando la sua prigionia e il periodo del nazismo. La sua missione civile fra i giovani, viaggiando di scuola in scuola in tutta Italia, è continuata quasi fino alla fine dei suoi giorni.

Franceschini, lucido analista

“Il dramma dell’Italia – dice qualche anno fa  a Giovanni Modica Scala in "Resistenza Bolognese", il mensile di "Dieci e venticinque" – è che, a differenza della Germania, non ha ancora fatto i conti con la propria Storia. Uno dei mali peggiori è l’indifferenza. Sono convinto che ci sono ingredienti e molte analogie con quello che successe molti anni fa, anche se in un contesto diverso. I ragazzi devono conoscere la Storia perché gli serva per essere più preparati e meno indifferenti sul presente, altrimenti non serve a niente. La memoria e la storia sono importanti per capire il presente e costruire il futuro". E ancora: "Io credo – ne sono convintissimo – che abbiamo bisogno adesso di un grande riscatto civico attraverso una battaglia culturale […]. Son preoccupatissimo, però non perdo mai la speranza. In campo di concentramento, se perdevi la speranza, dopo pochi giorni morivi. Quindi dovete essere attenti, consapevoli delle difficoltà, ma dovete vivere la speranza e la fiducia che è possibile costruire un mondo diverso, più giusto, un mondo di pace."

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