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“Morirete di cancro tra vent’anni”. Fujetevenne ragazzi: è la vostra sola speranza

Perché chi invita a restare a Napoli non racconta il dolore di una chemio, l’umiliazione di un intestino asportato? Perché ai ragazzi non viene detto chiaramente a cosa andranno incontro?
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Chi sta chiedendo ai giovani campani di rimanere nelle proprie terre sta chiedendo un sacrificio umano.

Richiedere ai giovani di restare in Campania vuol dire chieder loro di morire di tumore.

Chi sta chiedendo di restare dovrebbe, almeno, assumersi questa responsabilità. Dovrebbe avere il coraggio di raccontare ai giovani la sofferenza che provoca una chemio. Bisognerebbe avere il coraggio di raccontar loro cosa succede quando ci si ammala di tumore.

Perché a te che credi sia giusto restare, dovrebbero dirti a cosa sarai condannato. Perché quando scopriranno il tumore e sarai così fortunato da avere ancora una possibilità, quella di un ciclo di chemioterapia, è bene che tu sappia che durante quel ciclo ogni singola parte del tuo corpo proverà dei dolori che non ha mai provato prima. I primi a cedere saranno i tuoi muscoli, poi arriveranno gli spasmi e poi un dolore articolare così forte che ti sembrerà che le tue ginocchia ti vengano strappate via; poi la tua bile riempirà il tuo stomaco e il tuo vomito salirà lungo l'esofago. Il bruciore degli acidi renderà la tua carne un insieme di fiamme e il sapore del metallo ti riempirà la bocca fino a strozzarti. Intanto la febbre comincerà a salire perché i tuoi globuli bianchi saranno stremati dalla battaglia e ti sentirai come su un'ottovolante della temperatura: prima morirai di caldo e poi di freddo. Sarà quello il momento in cui tutti i tuoi percettori di dolore si attiveranno nello stesso momento cosicché il concetto di dolore non sarà più solo un termine letto su un libro. E solo a quel punto, solo quando ti sentirai stremato fino all'osso, a quel punto sarai davanti ad un bivio: o vivi o muori.

Bisognerebbe dirti questo, bisognerebbe dir questo ai giovani campani. Far capir loro a cosa vanno incontro. Invitarli ad andarsene. Invitarli a costruire un futuro per sé e per i propri figli lontano da queste terre belle e maledette. Lontano da questo sole e da questo mare. Lontano dagli affetti e dagli amici: perché questo gesto è l'unica alternativa che hanno ad una morte lenta e dolorosa.

Bisognerebbe risparmiar loro l'umiliazione di dover vedere il proprio intestino strappato via e sostituito da una sacca di plastica che contiene piscio e merda. Una sacca da portarsi dietro per tutta la vita e che ne impedirà le relazioni sociali.

Bisognerebbe risparmiare questa sofferenza alla persona che vi sta accanto e che vi vedrà morire lentamente tra le sue braccia, consumandonsi insieme a voi.

Bisognerebbe risparmiar loro la retorica che "resta, cambierà". No, non cambierà. Per bonificare questi terreni non basteranno 100 anni. Chi dice il contrario mente sapendo di mentire.

Bisognerebbe risparmiar loro questo stupido buonismo. Se  nel 1997 un pentito di camorra aveva già rivelato luoghi, fatti e nomi e se solo 16 anni dopo lo Stato italiano ha ritenuto giusto desecretare quegli atti significa che non c'è speranza e che lo Stato italiano ha, de facto, deciso di condannare a morte chi è rimasto.

Bisognerebbe avere il coraggio di ascoltare Eduardo, prendere le valige e scappare. Per sé, per i propri figli. Perché non c'è nulla di eroico nel restare. Non c'è nulla di eroico nel condannare chi ha ancora una speranza.

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Ex direttore d'AgoraVox, già professore di Brand Strategy e Comunicazione Pubblicitaria Internazionale presso  GES -  Grandes Écoles Spécialisées di Parigi. Ex Direttore di Fanpage.it, oggi Direttore di Deepinto.
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