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Militare morto a causa di uranio impoverito, condannato il Ministero della Difesa

Il caporalmaggiore Salvatore Vacca è morto a 23 anni di leucemia linfoblastica acuta, dopo diverse missioni in Bosnia dove trasportava munizioni sequestrate. I materiali, secondo i giudici, erano “ad alto rischio di inquinamento da sostanze tossiche”. Il ministero ora dovrà risarcire la famiglia con oltre un milione e mezzo di euro.
A cura di Claudia Torrisi
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Per la morte di Salvatore Vacca, caporalmaggiore della Brigata "Sassari" ucciso dagli effetti dell'uranio imporverito, la Corte d'Appello di Roma ha condannato il ministero della Difesa per omicidio colposo, confermando la sentenza di primo grado. Vacca è morto di leucemia linfoblastica acuta nel settembre del 1999 a ventitré anni, dopo diverse missioni in Bosnia nel giro di un anno. Per 150 giorni fu impiegato come pilota di mezzi cingolati e blindati, che trasportavano munizioni sequestrate. I materiali, secondo i giudici, erano "ad alto rischio di inquinamento da sostanze tossiche sprigionate dall’esplosione dei proiettili". Rischi "totalmente non valutati e non ottemperati dal comando militare". Per questa ragione, il ministero è "responsabile di condotta omissiva per non aver protetto adeguatamente il militare", non ottemperando alle "prescrizioni imposte non solo dalle legge e dai regolamenti, ma anche dalle regole di comune prudenza". Alla famiglia del militare dovrà pervenire un risarcimento per oltre un milione e mezzo di euro. La Corte d'Appello, dunque, ha dato ragione a Giuseppina, "madre coraggio" di Salvatore Vacca, che da anni si batte per avere giustizia per la morte del figlio.

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Il ragazzo, sostanzialmente, venne esposto senza "alcuna adeguata informazione sulla pericolosità e sulle precauzioni da adottare". Nel suo organismo sono state trovate diverse particelle di metalli pesanti non presenti per natura nell’uomo. Per i giudici questa è una conferma "definitiva del reale assorbimento nel sistema linfatico di metalli derivanti dalla inalazione o dalla ingestione da parte del militare nella zona operativa". Tra l'altro, sostengono i magistrati, "vi è compatibilità tra il caso ed i riferimenti provenienti dalla letteratura scientifica» nonché «esistenza di collegamento causale tra zona operativa ed insorgenza della malattia". Secondo Domenico Leggiero dell'Osservatorio Militare, quella pronunciata dalla Corte d'Appello è "una sentenza storica, perché conferma la consapevolezza del ministero del pericolo a cui andavano incontro i militari in missione in quelle zone e sono sicuro che giovedì prossimo in audizione alla Commissione uranio il ministro della Difesa Roberta Pinotti terrà conto di questa decisione".

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