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Migranti: alla ricerca dei genitori di Cisse, il bimbo sbarcato da solo in Calabria

Il padre dovrebbe trovarsi in Francia, la madre è tenuta prigioniera in un campo della Libia. Il piccolo al momento è ospitato da una famiglia del Cosentino, ma non vede l’ora di riabbracciare i genitori. Per lui si è mossa la Regione e la Chiesa. Ed ora si chiede anche l’intervento del Ministero.
A cura di Biagio Chiariello
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È arrivato sabato scorso da solo nel porto di Corigliano, in Calabria, dopo aver affrontato le perizie della traversata del Mediterraneo, a bordo di una delle tante carrette del mare. Cisse Namory Cheik, bimbo ivoriano di 5 anni, non è ancora riuscito ad riabbracciare il suo papà. Stando a quanto ricostruito, l’uomo dovrebbe trovarsi in Francia, mentre la madre è rimasta bloccata in Libia, senza i soldi necessari per pagare il viaggio agli scafisti e arrivare nel nostro Paese.

Ad occuparsi della tormentata vicenda di Cisse è il movimentista Franco Corbelli, delegato regionale per la tutela e la promozione dei diritti umani nonché fondatore del movimento ‘Diritti civili’. “Il bambino è stato momentaneamente affidato alla famiglia di un ispettore di polizia di Rossano, in provincia di Cosenza – spiega Corbelli – Il piccolo ivoriano per il trauma subito ha difficoltà ad addormentarsi e piange. Vuole riabbracciare il suo papà e la sua mamma. È questo il suo desiderio e il suo sogno”. Corbelli ha annunciato che presto anche il Presidente della Regione Calabria, Mario Oliverio, gli farà visita a Rossano dove ora è assistito da una famiglia che lo ha accolto a braccia aperte. E intanto fa appello al ministro Minniti affinché “intervenga con le autorità libiche e francesi – esorta Corbelli –. Anche il governatore Oliverio solleciterà subito un intervento delle istituzioni perché il piccolo ivoriano possa riabbracciare i genitori”.

 Cisse era partito dalla Costa d’Avorio insieme alla madre. Dopo aver attraversato il deserto del Sahara, erano giunti in Libia pronti per imbarcarsi verso l’Europa. Ma la donna non aveva abbastanza denaro per pagare la traversata di entrambi. “È stata allora rinchiusa in un lager insieme al bambino”, racconta Corbelli. Dopo alcuni giorni di prigionia, la madre è riuscita a far fuggire il piccolo. Ha chiesto a un suo compagno di viaggio di prendersi cura del bambino e di portarlo sulla nave fingendo che fosse suo figlio. L’uomo ha accettato, e nel corso della traversata ha protetto il piccolo dagli scafisti. Cisse è così giunto in Italia a bordo della Rhein, una nave tedesca. “Ancora adesso, la madre non può sapere che il piccolo ce l’ha fatta”, dice ancora Corbelli.

In tutto ciò il padre si trova in Francia. Una associazione umanitaria sta cercando di mettersi in contatto con lui, anche grazie a un biglietto con un elenco di numeri di telefono che Cisse aveva con sé al momento dello sbarco: non è chiaro però che sia anche quello del genitore. La stessa ong sta poi provando ad identificare il campo in cui è tenuta prigioniera la madre. “Se il papà di Cisse venisse trovato, saremmo pronti a incaricarci di farlo subito arrivare in Calabria”, assicura il rappresentante della Regione.

Anche la Chiesa si è mossa per risolvere il caso di Cisse. Radio InBlu, l’agenzia radiofonica della Conferenza Episcopale Italiana, ha ospitato lo stesso Corbelli per sensibilizzare il pubblico sulla vicenda. Le autorità regionali e la Ong che si occupa della vicenda hanno richiesto inoltre l’aiuto della stampa, in particolare di quella francese. “Bisogna  ricongiungere questa famiglia. La Regione Calabria farà di tutto perché questo avvenga; solleciteremo sia il ministero dell’Interno che le autorità francesi e libiche” dice il delegato regionale.

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