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Opinioni

Mercati finanziari ballerini, ma non c’è da aver paura

Nonostante le tensioni legate al braccio di ferro in corso al Congresso Usa sul budget e l’innalzamento del tetto al debito pubblico il Tesoro itailano riscuote un nuovo successo col lancio del primo Btp a 7 anni mai emesso. La volatilità durerà ancora un poco, ma non c’è da avere paura, almeno per ora.
A cura di Luca Spoldi
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Banche al lavoro per il collocamento sindacato del primo Btp a 7 anni il cui lancio era stato preannunciato ieri da una nota del ministero dell’Economia e finanze. Gli ordini avrebbero già superato quota 8 miliardi (a fronte di un’emissione prevista attorno ai 5 miliardi), di cui 700 milioni da parte dei lead manager dell’operazione (Credit Agricole, Credit Suisse, Hsbc e Unicredit). Il tasso dovrebbe risultare, secondo quanto riferisce Reuters che cita una fonte di mercato, attorno ai 10-12 punti base sopra il tasso del Btp marzo 2021, attualmente pari a circa il 3,7% lordo annuo. Decisamente una buona notizia per il Tesoro italiano che continua nella politica di “innovazione” degli strumenti proposti al mercato per cercare di allungare le scadenze (a fine settembre la vita media ponderata dei titoli di stato italiani era pari a 77,23 mesi ovvero 6,43 anni) e comprimere ove possibile il costo del debito (che sempre a fine settembre era pari al 3,557% prendendo a riferimento il Rendistato calcolato dalla Banca d’Italia, ovvero oscillava tra l’1,065% dei Bot a 6 mesi e il 4,985% per il Btp a 30 anni a fine giugno prendendo a riferimento i rendimenti composti lordi in emissione).

L’interesse per il nuovo strumento (e per il Btp Italia, di cui Maria Cannata ha già annunciato il lancio di una quinta emissione entro fine anno) non si traduce peraltro stamane in un miglioramento delle quotazioni dei titoli di stato italiani (e spagnoli), che anzi perdono terreno influenzati dalle tensioni provenienti dall’America dove continua il muro contro muro tra l’amministrazione Obama e la maggioranza Repubblicana della Camera dei deputati sul tema del budget federale e dell’innalzamento al tetto del debito. A farne le spese sono sia titoli “sicuri” come i Bund (che continuano a vedere un rendimento attorno al 3,80%-3,82% sul decennale) sia appunto i titoli di emittenti “periferici” come Italia e Spagna, coi Btp decennali che stamane pagano il 4,37% (con un sovra rendimento del 2,56% rispetto ai titoli tedeschi) e i Bonos decennali che invece offrono il 4,32% (mantenendo un residuo vantaggio sui titoli italiani di 5 punti base di minor rendimento).

La mia sensazione è che, fino a quando non sarà raggiunta (e forse superata) la “fatidica” data del 17 ottobre, in cui il Tesoro Usa ha già avvisato che resterà con una trentina di miliardi di dollari in cassa a fronte di uscite che possono toccare, a seconda dei giorni, anche i 60 miliardi di dollari al giorno, sostanzialmente avendo così raggiunto il “tetto” al debito attualmente fissato in 16.699 miliardi di dollari, i mercati resteranno nel loro complesso alquanto volatili. Si noti come date le grandezze in gioco poco influisca su tutto questo il “government shutdown”, la serrata degli uffici pubblici non essenziali che fa “risparmiare” allo stato federale circa 160 milioni di dollari al giorno (dopo che 350 mila degli 800 mila dipendenti pubblici a casa senza stipendio sono stati richiamati in servizio, regolarmente pagati), ossia appena lo 0,5% della “cassa” e soprattutto solo lo 0,0009% del debito accumulato.

In realtà nonostante quello che raccontano i media “mainstream”, i mercati sembrano scommettere ancora che un accordo “in extremis” si troverà e non ci sarà alcun default (tanto che i Cds, ossia le coperture contro rischio di insolvenza, non stanno aumentando particolarmente di costo né vedono un significativo incremento dei volumi) dato che fino almeno a fine anno il Tesoro potrebbe gestire la cassa modificando le priorità della spesa. Un’intesa, peraltro, che sarà inevitabilmente un compromesso, perché con un livello di tassazione che al contrario di quella italiana è ai minimi storici e una spesa pubblica record dovuta in questi ultimi anni in particolare ai sussidi alle banche (e alle imprese), occorrerebbero misure molto serie e molto profonde per modificare il quadro attuale, cosa che non sembrano essere intenzionati a varare né i Repubblicani né i Democratici (della serie, tutto il mondo è paese).

Ulteriori ritardi nella definizione della vicenda potrebbero se non portare a un default avere comunque un effetto negativo a medio termine sulla crescita, che è il vero “santo Graal” a cui dovrebbero votarsi, non solo a parole, anche i politici italiani, che invece continuano a cercare di distogliere l’attenzione su eventi tutto sommato marginali, come un taglio di 1,5-2 miliardi del cuneo fiscale (quando ne servono almeno 50 di miliardi di minor cuneo solo per allinearci al livello della Germania), o la “manovrina” da 1,6 miliardi (quando il bilancio dello stato si aggira sui 600 miliardi e dunque quella cifra sarebbe  per assurdo recuperabile sospendendo per un giorno al massimo il pagamento di ogni spesa pubblica) ed è per questo che sia i mercati obbligazionari sia quelli azionari in tutto il mondo (non solo negli Usa ma anche nella convalescente Europa e nei mercati emergenti, la cui crescita dipende ancora largamente dalla crescita altrui tramite esportazioni) resteranno nervosi ancora per un po’ di tempo.

E’ il caso di farsi prendere dal panico, se avete qualche risparmio investito? Al momento non sembra ed anzi in caso di brutte giornate (possibili anche a causa della nuova stagione degli utili trimestrali che si è aperta ieri sera a Wall Street coi dati di Alcoa, peraltro superiori alle attese) chi finora si fosse mantenuto prudente e liquido (fisco permettendo) potrebbe fare qualche investimento sempre ricordando che, in attesa che la politica faccia il suo corso negli Usa come in Europa (e Italia) e in Giappone, le banche centrali occidentali continueranno a “comprare tempo” pilotando i tassi a breve e adeguando la propria politica monetaria in base a come usciranno i dati macro.

Se saranno eccessivamente deboli la Federal Reserve (specie ora che la “colomba” Janet Yellen è stata scelta come successore di Ben Bernanke) starà ancora ferma, mentre la Bce di Mario Draghi potrebbe limare i tassi sull’euro o effettuare una nuova Ltro fornendo liquidità alle banche europee (anche se, forse, a prezzo di una “stimmate” che gli istituti dovrebbero poi scontare nello stress test del prossimo anno). Se invece i dati saranno forti i mercati potrebbero tornare a scontare una "normalizzazione" o "exit strategy" di lungo periodo che dir si voglia, almeno della politica monetaria Usa. Con conseguenze da monitorare ma non necessariamente negative per l’Europa e l’Italia, dato che potrebbe significare una maggiore valvola di sfogo per le nostre imprese capaci di esportare beni e servizi all’estero.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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