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Opinioni

Mercati a picco dopo la vittoria della Brexit: cosa può accadere ora

Vince a sorpresa la Brexit e i mercati finanziari crollano. Gli investitori si rifugiano nei beni sicuri, i tassi vanno sempre più in negativo sui titoli di stato, per le banche lo scenario torna a perggiorare drasticamente. Ecco cosa può accadere e che ripercussioni possono esserci per l’uomo della strada…
A cura di Luca Spoldi
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Nelle ultime 48 ore i mercati avevano creduto che la “Brexit si sarebbe alla fine evitata e che si sarebbe evitata tutta la confusione inevitabile che ne sarebbe seguite, rimbalzando di circa un 8% coi titoli bancari particolarmente euforici. Ma la realtà si prende spesso gioco delle intenzioni, buone o cattive che siano, e delle previsioni “alla cieca”, così stamane la vittoria con circa un milione di voti di scarto del partito del “leave” spacca le ossa ai mercati, con Tokyo che chiude a -7,9%, Londra che segna a inizio giornata -4,75%, i listini europei tra i 6 e i 7 punti di perdita e Milano che tra decine sospensioni al ribasso e market maker “esentati” dall’obbligo di fornire quotazione (perché i rischi sono troppo elevati stamane e quindi chi opera lo fa a proprio rischio e pericolo) cede tra il 9,5% e il 10% a seconda dei minuti.

Azzerato, con gli interessi, il rally degli ultimi giorni, cosa sta accadendo e cosa può accadere? Sin da ora è evidente una corsa ai beni rifugio, come ampiamente previsto dalle principali case d’investimento ancora pochi giorni fa, come il Credit Suisse. Quanto all’immediato futuro, sulla base dei precedenti storici, segnalano stamane gli esperti di Goldman Sachs, i tassi sui Gilt inglesi a 10 anni potrebbero calare sotto il 1%, quelli sui Bund tedeschi congelarsi tra il -0,10% e il -0,15%, mentre i T-bond decennali americani vedrebbero il rendimento scendere sino all’1,35%. Da notare che visto l’esito del referendum britannico di rialzo dei tassi negli Stati Uniti con buona probabilità non si parlerà più almeno sino a Natale, visto che a questo punto la Fed starà alla finestra sia a luglio, in attesa di valutare le ripercussioni macroeconomiche e finanziarie della decisione britannica, sia a settembre, anche in vista delle elezioni presidenziali di novembre.

Oltre al violento “selloff” dei mercati azionari di queste ore, il prevedibile ulteriore incremento dell’avversione al rischio secondo Goldman Sachs potrebbe portare a breve termine a perdite tra il 19% e il 21% dei principali mercati azionari rispetto alle chiusure di ieri, con l’indice britannico Ftse 250 che rischia di pagare lo scotto maggiore. Mentre le banche centrali (Bank of England e Banca centrale europea) agiranno rapidamente per mantenere la funzionalità dei mercati, inondandoli con nuova liquidità sia tramite acquisti di bond sul mercato sia con nuove concessioni di finanziamenti a tassi pari o inferiori a zero, cosa che contribuirà a fare ulteriormente calare i tassi, le implicazioni per le quotazioni azionarie rischiano di essere “consistenti, ampie  e rapide”.

In pratica: i titoli del settore finanziario resteranno su livelli depressi per mesi, a fronte di uno scenario sempre più problematico che potrebbe da un lato accelerare nuove fusioni dall’altro rallentare il processo di ristrutturazione e risanamento del credito, specie in Italia, perché la forbice di prezzo tra domanda e offerta per le sofferenze bancarie e i crediti non performanti (Npl) in genere rischia di allargarsi nuovamente. Chi come Banco Popolare è riuscito a portare a termine un aumento di capitale tira un (moderato) sospiro di sollievo, al pari di chi (come ancora Mps ieri) è riuscito ad alleggerirsi di qualche “credito marcio”. Il problema però rimane ed anzi peggiora, procurando grattacapi seri a chi come il fondo Atlante si è dato al missione di “salvatore di sistema”, perché l’incertezza di queste ore rischia di rinviare decisioni di investimento da parte delle aziende e di spesa da parte delle famiglie, rallentando la crescita economica già fragile in Europa.

A rischiare è anche in questo caso soprattutto la Gran Bretagna, con la sterlina crollata di quasi 9 punti percentuali contro il dollaro, sui minimi dal 1985, e circa 4 punti contro l’euro, perché un’economia basata in misura preponderante sul settore dei servizi (e dei servizi finanziari in particolare) pagherà un conto salato in termini di flussi di capitali in uscita, che non sarà bilanciato dall’eventuale rafforzamento dell’export di merci e servizi indotto dalla svalutazione del cambio. In questo scenario è proprio Londra a rischiare più di tutti, perché molte grandi banche d’affari potrebbero essere tentate di trasferire altrove, a Francoforte o a Parigi (più difficilmente, purtroppo, a Milano) i propri desk operativi.

Ma in una giornata plumbea per i mercati finanziari, all’uomo della strada cosa cambia? Nell’immediato poco o nulla, a medio termine da un lato rischiano di peggiorare nuovamente le condizioni del mercato del lavoro, già fragili, in particolare per il settore bancario che si avvia ad una stagione di ristrutturazioni che non avviene durante una fase di rigogliosa crescita economica ma di crescenti incertezze sulla tenuta della crescita europea (oltre che mondiale). Dall’altro lato proprio perché le banche centrali faranno di tutto per garantire l’operatività dei mercati, chi ha contratto un mutuo o un prestito a tassi variabili (o vuole accenderne uno) potrà avvantaggiarsi di un ulteriore calo degli interessi, sempre che gli istituti per tutelare un minimo di redditività non introducano, come paiono intenzionati a fare, nuove commissioni o soglie minime di costo.

Problemi gravi e crescenti, invece, per chi si trova a impiegare il capitale, ossia per chi investe: tassi negativi per lunghi periodi costituiscono una forma di prelievo patrimoniale sul capitale e distruggono il rendimento che potrà essere realizzato da fondi pensione o polizze vita. Il conto da pagare si vedrà solo tra alcuni anni ma rischia di essere molto salato, inducendo ad un ulteriore accumulo di risparmio a fini previdenziali, risparmio che andrà a ridurre proporzionalmente i consumi. Il che, in un modello economico mondiale che vede i consumi contribuire attorno ai due terzi del Pil, non è certamente uno scenario positivo.

Per evitare tutto questo servirebbero scelte “forti sia in campo politico sia in campo industriale e finanziario, servirebbe incentivare, anche fiscalmente, l’investimento nell’economia reale, nelle startup, nella piccole e medie imprese, servirebbe favorire un processo di progressiva aggregazione delle aziende stesse, di progressiva diffusione dell’innovazione, di continui investimenti in ricerca e formazione. Servirebbe un’Europa che sia in grado di ritrovare una unità che faccia superare gli steccati e le diffidenze nazionali, che omogeneizzi verso l’alto il quadro macroeconomico, che trovi il modo di tutelari i diritti di tutti e non solo di alcuni. Servirebbe che non fossimo arrivati a questo punto, eppure a questo punto siamo arrivati. Il problema ora è vedere chi e come avrà la capacità di uscirne: si accettano scommesse, fate il vostro gioco.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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