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Medico ucciso in Kenya, il fratello: “Rita è già stata dimenticata, voglio giustizia”

Una furia assassina per pochi euro, qualche collanina e un tablet. Rita Fossaceca,medico italiano, è stata assassinata in Kenya il 28 novembre scorso. In quel periodo si stava prendendo cura dei bambini di un orfanotrofio nel villaggio di Mijomboni. Ora si apre il processo nei confronti di alcuni uomini del commando che l’ha ammazzata barbaramente davanti ai suoi parenti.
A cura di Biagio Chiariello
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“Quello di mia sorella non può essere relegato a un caso minore. E invece Rita sembra già dimenticata”.  E’ la denuncia Pierluigi Fossaceca, fratello di Rita, il medico in servizio all’ospedale Maggiore di Novara ucciso il 28 novembre in Kenya. La donna fu ammazzata sotto gli occhi dei suoi genitori, dello zio sacerdote e delle due infermiere partite con lei dall’Italia per prendersi cura dei bambini di un orfanotrofio nel villaggio di Mijomboni. Una furia omicida per 300 euro, qualche collanina di poco valore, le fedi e un tablet, perpetrata da un commando composto da 5 o 6 persone che fece irruzione nella casa che ospitava gli italiani a Watamu, uccise la dottoressa, picchiò e torturò gli altri con i machete. Sulla vicenda è stato aperto un’inchiesta in Kenya: a processo solo due persone di quel commando. Sull’accaduto è aperto un fascicolo contro ignoti a Roma, affidato al pm Colaiocco, lo stesso di Giulio Regeni. Ma Pierluigi è preoccupato che l'attenzione sul caso non sia adeguata. Dal procedimento in corso nel Paese africano, il fratello di Rita attende “umanamente giustizia, nessuna vendetta”, nella speranza che i rifletti sul caso non si spengano. "Vogliamo sapere – dice -, se è stata solo una rapina, vogliamo sapere chi ha ucciso mia sorella e torturato i miei genitori, mio zio e le infermiere assistenti di Rita".

"Nonostante il sospetto della presenza di un basista, che conosceva le abitudini della casa – dice -, queste persone hanno deciso di agire poche ore prima della partenza: il denaro che Rita aveva portato con sé dall'Italia era stato tutto speso per le necessità dell'orfanotrofio e dell'infermeria". Il dubbio però assale Pierluigi con amarezza: "Spero non sia stata un'esecuzione, lo spero per mia sorella e per tutti. Sappiamo che le persone che lavoravano in casa si sono solo sdraiate a terra mentre i rapinatori, cinque o sei uomini incappucciati e armati di pistola e machete, si accanivano sui miei genitori e sulle infermiere". Vere e proprie torture: "Li hanno picchiati selvaggiamente, massacrati. Mia madre ha subito la frattura delle costole e danni alla colonna vertebrale. Rientrata in Italia, è stata sottoposta a un intervento. Mio padre ha ancora difficoltà alla spalla e al braccio. Don Luigi, mio zio, quasi ottant'anni, ha subito la frattura delle costole, danni alla schiena, un trauma cranico".

L’uomo spiega ancora la dinamica dei fatti avvenuti quel maledetto 28 novembre. Rita avrebbe cercato di difendere la madre, il padre, lo zio. "Ha tentato di allontanare le infermiere dalla furia degli aggressori", ha reagito e le hanno sparato. "L'hanno ammazzata per nulla, poche centinaia di euro – aggiunge – forse pensavano di trovare qualcosa in più e questo ha scatenato la loro rabbia". "Rita in Kenya era benvoluta da tutti – sottolinea il fratello – perché tutti sapevano che arrivava lì per fare del bene e non solo ai bambini dell'orfanotrofio: si prendeva cura delle persone comuni che incontrava per strada", precisa Pierluigi.

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