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Marò, la decisione del ministro: no alla pena di morte ma sì al Sua Act

Il ministero dell’Interno indiano è d’accordo che per il caso di Latorre e Girone non sia invocata la pena di morte, ma a suo dire deve essere comunque utilizzata la legge antipirateria che la prevede. Sarà compito del procuratore generale risolvere la questione.
A cura di Susanna Picone
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Per Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i due marò italiani in India da ormai due anni, non deve essere applicata la pena di morte. È questa la decisione del ministro dell’Interno indiano che ha comunicato alla Procura generale la sua contrarietà alla pena capitale per i militari italiani. A scriverlo è l’agenzia di stampa statale Pti. Ma l’agenzia aggiunge che, tuttavia, il ministro indiano ha espresso l’opinione che nei confronti dei due marò sia comunque utilizzata la legge per la repressione della pirateria, la cosiddetta Sua Act. La legge che, com’è noto, prevede anche la pena di morte. Secondo quanto si apprende, la comunicazione del ministro dell’Interno indiano è stata fatta ieri 4 febbraio durante una riunione dei vertici degli Interni e con il procuratore generale G.E. Vahanvati. Sarà quest’ultimo – scrive l’agenzia Pti – a dover a questo punto risolvere la questione.

La “patata bollente” alla Procura generale – È compito del magistrato spiegare come poter prescindere da quanto sostiene il Sua Act, e cioè che “se una persona causa la morte di un’altra, sarà punita con la morte”. Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, lo ricordiamo, in India sono appunto accusati di aver ucciso, ormai due anni fa, due pescatori. Per quanto riguarda il processo per i due marò, la Corte Suprema ha aggiornato a lunedì prossimo la decisione sulla formulazione dei capi d’accusa nei confronti dei due italiani. Sui continui rinvii sul caso, nelle ultime ore, ha scritto anche il quotidiano locale “The Hindu”: in un editoriale sulla vicenda di Latorre e Girone, la stampa parla di “un ritardo ingiustificato” che “sta diventando un imbarazzo diplomatico per l’India”.

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