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Opinioni

Ma è questo il PD di cui l’Italia ha bisogno?

Tormenti in casa democratica ultimo atto: unioni civili, spread, legge elettorale e “fare come Monti, con o senza Monti”. E c’è chi continua a chiedersi se è questo il partito di cui il Paese e gli italiani (non solo a sinistra) hanno bisogno.
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Direzione-Partito-democratico

Dell'involuzione del Partito Democratico parliamo ormai da settimane, con toni sempre più allarmati. Così come della sana e vecchia abitudine di complicarsi la vita, di quell'incapacità a "vincere", o anche soltanto a perseguire coerentemente un progetto condiviso che sembra essere il filo conduttore degli ultimi vent'anni di "centrosinistra". Eppure, il momento sembrerebbe davvero quello giusto. Il Paese avrebbe davvero bisogno di un grande partito progressista e di sinistra. Ed è proprio questa considerazione alla base del clima di tensione che si respira in queste settimane tra i democratici. Perché, come si sente ripetere ormai da mesi, simili contingenze difficilmente si ripresenteranno e il gruppo dirigente del partito rischia di gettare al vento non solo l'occasione di "vincere le elzioni", ma anche quella di dare al Paese un Governo moderno, progressista, in grado di tirarci fuori dalle sabbie mobili della crisi economica e di ripensare il rapporto stesso fra la politica, le istituzioni e i cittadini. Già, ma il punto è proprio questo: il Partito Democratico, questo partito, è in grado di assumersi tale responsabilità? E' questo il Partito dell'alternativa di Governo? E' questo il partito che può coniugare responsabilità e progressismo, che può rappresentare una garanzia per l'Europa senza commissariamenti e cessioni di sovranità di sorta? E' questo il Partito che può ridisegnare la società italiana sulla via maestra dell'equità, dell'uguaglianza, dell'ampliamento dei diritti, della redistribuzione della ricchezza, della partecipazione?

Risposte non semplici, che dovrebbero richiedere riflessioni di senso e precedere le elucubrazioni e le cervellotiche alchimie tattiche che sembrano impegnare senza sosta il gruppo dirigente del PD. Dalla legge elettorale all'appoggio al Governo Monti, dalla spending review alla questione dei diritti civili, passando per il tema della democrazia interna, della leadership e della scelta delle alleanze: l'immagine è quella di un partito diviso, che ha fatto del compromesso e della mediazione al ribasso la prassi politica, incapace di "decidere" in maniera compiutamente democratica e sempre timoroso quando si tratta di "scardinare" posizioni pretestuose e decisamente conservatrici.

Ed è questo il disagio, il senso di inadeguatezza comune a tanti militanti del PD in questi giorni. E mentre la questione del voto a novembre continua a tenere banco, sembra quasi di assistere ad una spaccatura profonda, tra chi considera sensata la linea caldeggiata dal segretario Bersani e rivendica l'onere e l'onore della decisione e fra chi invece ritiene insostenibile un compromesso (elettorale, programmatico ed "ideologico") e rivendica "un'altra storia, un altro cammino, un altro modello di partito". Una discussione che solo forzando la mano potremmo racchiudere nello stretto recinto di un hashtag, tra #iovotoPD e #iononvotoilPD, ma che certamente rischia di essere uno snodo cruciale, non solo per i democratici. Ne scrive proprio oggi Reichlin, come sempre lucido e fin troppo "fiducioso": "La sinistra deve assumere le nuove responsabilità ed una più alta coscienza di se. La proposta politica del PD è forte perché prima di tutto è un appello alle risorse profonde del Paese. […] E' una chiamata alle armi delle forze democratiche, non solo di sinistra. Ma è anche una scommessa sulla forza e sulla coesione di un partito che deve reggere al peso di ardue responsabilità. C'è poco da dire, siamo noi che garantiamo già oggi in larga parte la tenuta del Paese".

Dall'altra parte però c'è chi si chiede il senso di una chiamata alle armi per quella che "non è la nostra guerra". Chi si chiede che senso abbia "vincere per vincere", senza un programma condiviso, senza una vera democrazia interna, senza scelte radicali e senza un'idea di Paese alternativa. Chi si guarda intorno e vede un progetto ad un passo dal fallimento, nato con la vocazione maggioritaria e finito a replicare alchimie da Prima Repubblica (con delle aggravanti, per giunta). Chi proprio non capisce cosa ha in comune con gli integralisti cattolici, con la "solita" borghesia italiana, con i Calearo di turno, con chi ancora ragiona per "compartimenti stagni". Chi non riesce a comprendere perché mai non si possano pronunciare parole chiare sui temi etici e non solo. Chi ancora si chiede per quale motivo il "doppio binario" sia sempre preferibile alle scelte nette e chiare. Chi cerca un partito fatto di militanti e cittadini e trova solo notabili, professionisti della politica e vecchi e nuovi potentati. Chi bussa alle stanze dei bottoni, invano. Chi reclama uno spazio che gli spetta di diritto. Insomma, chi comincia davvero a dubitare…

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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