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Lorenzin si schiera: “Il corpo della donna non è un forno che cuoce torte di altri”

Il ministro della Salute lancia un appello alle donne in Parlamento: “Non confondiamo le unioni civili con la stepchild, non alla legittimazione della pratica dell’utero in affitto”.
A cura di Redazione
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Nel giorno in cui il ministro dell’Interno Angelino Alfano ribadisce il suo “invito” affinché il Governo non intervenga nella discussione sul disegno di legge in materia di unioni civili e lascia il compito di legiferare al Parlamento, è il ministro della Salute Beatrice Lorenzin a entrare a gamba tesa nel dibattito in corso. La Lorenzin sceglie il suo blog per inviare un appello alle donne in Parlamento, con il quale si schiera apertamente sul fronte del no alla possibilità di adozioni per le coppie omosessuali, anche nell’istituto della stepchild adoption.

Nella lettura della Lorenzin, infatti, si tratterebbe di una legittimazione della pratica dell’utero in affitto, che lede “sia i diritti dei bambini che ancora devono nascere ad avere una madre e un padre, sia i diritti delle donne che in questo nostro tempo impazzito sembrano essere regrediti perché evidentemente abbiamo dimenticato le battaglie delle nostre madri”. Per il ministro, “il corpo della donna non è un forno, che si accende per far cuocere una torta; la torta di un altro, che quando la torta è cresciuta al punto giusto, spegne il forno, prende la torta e la porta via”. E da qui l’invito a tener fuori dalla discussione sulle unioni civili la questione delle adozioni.

Ecco il testo del suo appello:

Il corpo della donna non è un forno, che si accende per far cuocere una torta; la torta di un altro, che quando la torta è cresciuta al punto giusto, spegne il forno, prende la torta e la porta via. In tutto il mondo c’è un’antica battaglia da proseguire contro la mercificazione del corpo delle donne e dei bambini.

L’incubo peggiore per una donna è vedersi strappare il figlio appena partorito.

La donna ancora schiava, ieri come oggi, costretta a cedere ai padroni i propri neonati per non vederli mai più. Cambia il linguaggio, oggi lo chiamano “utero in affitto”, e la destinazione d’uso del nascituro, ieri forza lavoro, oggi diritto di soddisfare un bisogno individuale.  E’ un nuovo commercio internazionale, di organizzazioni complesse e criminali capaci di produrre enormi guadagni, tutto costruito sulla pelle delle donne in condizione di povertà, sui loro corpi fertili: ovociti che si comprano e si vendono su cataloghi, donne trattate come pezzi di ricambio in un mercato planetario.

Non c’entrano niente scelte personali, che non sono in discussione, come giustamente hanno ricordato femministe da tanti paesi diversi che si sono trovate ieri a Parigi proprio per chiedere che questa pratica diventi reato universale, che sia perseguita ovunque. Qua siamo davanti a un mercato di donne e bambini, una compravendita vera e propria, con tanto di contratti vessatori nei confronti delle madri surrogate, e con i neonati che, come ogni merce che si rispetti, vengono pure rifiutati se “difettosi” da chi li ha commissionati, se non rispondono alle richieste di chi ha pagato per ottenere un bambino in cambio di denaro.

E’ il mercato che si impossessa della vita delle persone, è la forza del più ricco esercitata in danno del più povero, è la frantumazione di ogni etica.

Siamo nell’ultraprostituzione, e senza ipocrisia va denunciato ogni tentativo di regolamentazione che, in un regime di negoziazione del prezzo della gestazione e della vita stessa della mamma e del bambino, sarebbe illusoria.

Faccio appello a tutte le donne in Parlamento, a prescindere dall’appartenenza partitica, ad aprire una discussione, franca e senza ipocrisie, sull’adozione da parte delle coppie dello stesso sesso del ddl Cirinnà, che si traduce automaticamente nella legittimazione dell’utero in affitto e dell’eterologa. Tutto questo non ha nulla a che fare con il riconoscimento, giusto per me, delle unioni civili e del rispetto per le coppie omosessuali.

In gioco ci sono i diritti dei bambini che ancora devono nascere ad avere una madre e un padre, e i diritti delle donne che in questo nostro tempo impazzito sembrano essere regrediti perché evidentemente abbiamo dimenticato le battaglie delle nostre madri.

Questa è una frontiera tra tutte noi del mondo occidentale, privilegiate, istruite, ricche, e tutte le altre, costrette a subire abusi di ogni genere, private di diritti civili e istruzione, ridotte a schiave e oggi trattate come mere fattrici di organi e bambini da vendere sul mercato.

La nostra preoccupazione deve focalizzarsi sui bambini che già ci sono e che hanno diritto a ogni tutela, al di là di come sono stati concepiti. Ma se il tema è questo, e solo questo, la soluzione noi donne di buon senso la troveremo senza fare entrare dalla finestra quello che giustamente abbiamo sempre detto di volere tenere fuori dalla porta.

Non confondiamo le unioni civili con la stepchild adoption.

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