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Opinioni

Londra, la fine di un sogno

Sono 250.000 gli italiani a Londra, e ogni anno tanti giovani vi si recano in cerca di un futuro migliore. Eppure il governo inglese ora potrebbe porre fine a tutto questo. Lo hanno già fatto con i non europei.
A cura di Michele Azzu
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Ha generato grande dibattito l'annuncio del ministro degli interni britannico Theresa May, secondo cui il Regno Unito ricorrerà presto a limitazioni contro gli immigrati europei, permettendo l'ingresso solo a chi ha già un contratto di lavoro. “L'immigrazione attuale è semplicemente insostenibile” ha affermato May al Sunday Times, "Mette pressione sulle infrastrutture e ai servizi pubblici, come scuole e ospedali". In particolare il ministro del governo Cameron ha puntato il dito sull'immigrazione proveniente dall'Unione Europea, raddoppiata negli ultimi anni.

Quella dell'immigrazione è una questione annosa del governo Cameron. Il primo ministro aveva infatti promesso nel suo primo mandato di governo che avrebbe portato le figure della immigrazione netta sotto i 100.000 l'anno, ma la cifra ha raggiunto le 318.000 persone nel 2014 – dai 209.000 del 2013 – secondo L'Office for National Statistics. E anche gli studenti che arrivano nel Regno Unito sono aumentati: da 177.000 a 193.000 nel corso di un anno.

Insomma, l'immigrazione cresce, e specialmente quella europea, con la fuga dalla crisi economica e dalla disoccupazione giovanile. I provvedimenti annunciati dal governo Cameron, ora, potrebbero colpire duramente tantissimi italiani che vivono in Inghilterra: solo a Londra vivono 250.000 italiani, tanto da farne la tredicesima città italiana per numero di abitanti.

Purtroppo non si tratta di annunci a scopo elettorale: il governo britannico ha legiferato pesantemente contro gli immigrati negli ultimi quattro anni. Con una visione: chi è ricco può permettersi di restare, mentre tutti gli altri devono tornare a casa. Che rischi affrontano, dunque, i nostri connazionali che vivono oltre manica? I giovani della fuga dei cervelli, i camerieri e i pizzaioli, ma anche i laureati, i ricercatori, chi apre un'attività e chi in Inghilterra si reca per studiare. È l'inizio della fine del sogno londinese per gli italiani?

Il tetto al reddito minimo per gli immigrati

Il governo di David Cameron negli ultimi anni ha provveduto ad introdurre durissime restrizioni all'immigrazione per chi proviene da fuori la comunità europea. È possibile che decidano di introdurre limiti simili anche per gli immigrati europei? Nel 2012 il governo Cameron ha introdotto un "tetto al reddito" per i non europei che vogliono rimanere nel Regno Unito: devono guadagnare almeno 35.000 sterline lorde l'anno (47.500 euro) a 5 anni dall'ingresso nel paese. La norma, seppur approvata nel 2012, diventa attiva dall'aprile 2016, e chi si troverà a guadagnare poco dovrà lasciare il paese.

Verranno escluse solo le categorie per cui l'UK riscontra la necessità di avere una maggiore manodopera estera, come potrebbe accadere ad esempio per il settore infermieristico, mentre già i ricercatori universitari sono stati esclusi. Il "tetto ai redditi" costituisce la prima volta in cui un governo britannico ha imposto una condizione economica al diritto di insediamento nel Regno Unito. Fino ad ora, infatti, questo diritto era garantito dalla durata di permanenza pregressa: 5 anni di residenza. Un tabù che il governo di Cameron ha rotto senza troppi questioni sull'etica o sulle ripercussioni di equità della norma. Un limite simile, ora, potrebbe venire introdotto anche per gli europei.

Il dramma degli sposi poveri

Un altro esempio significativo della visione del governo Cameron in merito all'immigrazione, è quello del tetto al reddito per le coppie sposate. Sempre nel 2012 il governo Cameron – anche questo fortemente voluto proprio dal ministro Theresa May – ha introdotto una legge per cui in un matrimonio fra un cittadino britannico e uno non britannico (e esterno all'Unione Europea), il primo deve avere un reddito annuo minimo di 18.600 sterline lorde (pari a 25.385 euro, cioè oltre 2.000 euro al mese) per poter permettere al coniuge di trasferirsi in UK.

Un provvedimento durissimo, che ha causato problemi a 33.000 coppie, soprattutto giovani che ancora studiano e non lavorano, o sono appena entrati nel mercato del lavoro e non guadagnano abbastanza da potersi permettere di portare in Inghilterra il proprio coniuge. La legge è stata molto discussa, anche perché il 47% dei cittadini britannici ha un reddito inferiore ai 18.600 sterline l'anno, e questo settembre la legge verrà ridiscussa dalla Corte Suprema.

La sanità non proprio pubblica

Ma nelle sue dichiarazioni, il ministro May, ha fatto un preciso riferimento al welfare e ai servizi: congestionati e messi sotto pressione dal grande afflusso di immigrati. Un'immagine forse lontana dalla realtà, ma che fa pensare che anche una riforma nell'utilizzo nei servizi potrebbe essere in esame. Anche qui, il modello dichiarato sono i provvedimenti degli ultimi anni nei confronti dei non europei. Per questi, infatti, dallo scorso aprile, il servizio sanitario britannico (NHS) è diventato a pagamento. Per quelli di loro che si trattengono oltre sei mesi è richiesto il versamento di 200 sterline l'anno, all'atto della richiesta di ingresso.

Il provvedimento ha colpito anche gli studenti internazionali, che devono pagare 150 sterline l'anno. La riforma ha suscitato grande preoccupazione, da parte dei professionisti sanitari, sia per le implicazioni etiche del provvedimento, sia per i rischi sanitari che potrebbero scaturirne. "Nessun altro paese in europea ha un legame così diretto tra immigrazione e sanità", ha affermato Liliana Keith, della piattaforma di cooperazione internazionale per gli immigrati irregolari.

Tempi duri per gli studenti

Anche gli studenti non si salvano dalle mire del governo Cameron. Il premier inglese ha affermato che il governo vuole introdurre requisiti di lingua inglese più difficili per gli studenti stranieri. In una lettera confidenziale di Theresa May agli altri ministri pervenuta alla BBC – che il ministero non ha commentato – la May sostiene che la università inglesi dovranno "sviluppare un modello di business non dipendente dagli studenti internazionali". L'intenzione, è quella di richiedere agli studenti garanzie finanziarie solide all'arrivo, ancora più alte di quelle già richieste. Secondo l'Higher Education Funding Council, le università inglesi guadagnano ogni anno 3 miliardi e 200 milioni di sterline da studenti non europei, il 13% dei loro ricavi. Includendo anche gli studenti europei, quindi, la cifra salirebbe di molto.

Vedremo cosa accadrà agli immigrati europei ed italiani che seguono il grande sogno di un futuro a Londra. Non sarà facile per il governo di Cameron introdurre norme dure come quelle per l'immigrazione non europea. Sarà una lotta dura, quella dei prossimi mesi, strettamente collegata al referendum per l'uscita del Regno Unito dall'Unione Europea che si terrà il prossimo anno. Gli effetti sull'economia di questi provvedimenti, poi, sono praticamente inesistenti, a scapito di grandi drammi umani per centinaia di migliaia di persone. Con una sola eccezione: chi è ricco può permettersi ogni diritto: sposarsi, emigrare, potersi curare.

Ma sono già le premesse ad essere sbagliate, come la convinzione del governo che gli immigrati pesino sul welfare: una recente inchiesta del giornale britannico The Guardian ha rivelato che sono più i britannici ad usufruire di sussidi negli altri paesi dell'Unione Europea, rispetto agli europei che ne beneficiano in Gran Bretagna. Inoltre, anche se norme di questo tipo verranno introdotte, servirà ancora qualche anno perché entrino in vigore, e perché se ne vedano gli effetti. Una sola cosa è certa: il governo inglese non scherza affatto. E la preoccupazione, fra chi è partito o ha intenzione di farlo, è reale.

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Michele Azzu è un giornalista freelance che si occupa principalmente di lavoro, società e cultura. Scrive per L'Espresso e Fanpage.it. Ha collaborato per il Guardian. Nel 2010 ha fondato, assieme a Marco Nurra, il sito L'isola dei cassintegrati di cui è direttore. Nel 2011 ha vinto il premio di Google "Eretici Digitali" al Festival Internazionale del Giornalismo, nel 2012 il "Premio dello Zuccherificio" per il giornalismo d'inchiesta. Ha pubblicato Asinara Revolution (Bompiani, 2011), scritto insieme a Marco Nurra.
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