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Libertà di stampa, l’anno orribile: 74 reporter uccisi e record di giornalisti arrestati

Il rapporto annuale di Reporters sans frontières descrive per il 2016 una situazione molto critica per la libertà di stampa anche in Paesi dove formalmente vige la democrazia.
A cura di Antonio Palma
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Sono settantaquattro gli operatori dell'informazione uccisi a causa del proprio lavoro nel mondo nel corso dell'anno che sta per finire. A fare il drammatico e pesantissimo bilancio come ogni anno è Reporters sans frontières, l’associazione che opera in difesa della libertà di stampa, che anche per il 2016 ha pubblicato il suo rapporto annuale sui giornalisti morti sul campo. Delle vittime, cinquantasette erano identificati come  giornalisti, 17 invece erano blogger e collaboratori di mezzi di informazione che stavano svolgendo opera di informazione.

Il triste primato del maggior numero di morti spetta ovviamente ai Paesi in guerra e in particolare alla martoriata Siria, dove si contano 19 giornalisti uccisi contro i nove dell'anno scorso. Seguono l'Afghanistan con dieci, l'Iraq con sette e lo Yemen con cinque. Storia a parte in Messico dove si contano ben nove operatori dell'informazione uccisi nel 2016 anche se non è in corso nessuna guerra ufficiale. A pesare sul macabro bilancio infatti c'è la lotta  dei narcotrafficanti contro lo Stato e tra di loro che continua causare drammatiche conseguenze anche alla popolazione civile. Quasi tutte le vittime, 53 su 57,  hanno trovato la morte nei loro Paesi.

Il dato totale è meno pesante rispetto al 2015, quando gli operatori dell'informazione che persero la vita svolgendo il proprio lavoro furono 67, 53 dei quali proprio perché identificati come giornalisti. "La diminuzione rispetto al 2015 si spiega con il fatto che sono sempre di più i giornalisti che fuggono dagli Stati troppo pericolosi: la Siria, l'Iraq, la Libia e poi lo Yemen, l'Afghanistan, il Bangladesh o il Burundi sono diventati buchi neri dell'informazione in cui regna l'impunità" ricordano da Reporters sans frontières.

Al contrario il 2016 è stato l’annus horribilis per gli arresti e le detenzioni dei giornalisti. L'anno che sta per finire infatti ha fatto registrare il numero record di ben 348 operatori dell'informazione in manette a causa del loro lavoro. Mai così tanti negli ultimi tre decenni, "Si tratta di un incremento del 6% rispetto al 2015, mentre il numero di giornalisti professionisti imprigionati è cresciuto del 22%" spiegano da Rsf. In questo senso, la parte del leone l'ha fatta la Turchia dove, dopo il fallito golpe, la repressione di Erdogan si è abbattuta anche sui mezzi di informazione che per lui non avevano mostrato sufficiente fedeltà al presidente turco. Solo nel Paese infatti sono oltre un centinaio i giornalisti finiti in galera solo per aver fatto il proprio dovere.

"Alle porte dell'Europa, una vera e propria caccia alle streghe ha provocato l'arresto di decine di giornalisti e reso la Turchia la più grande prigione per la professione. In un anno, il regime di Erdogan ha cancellato ogni pluralismo dei media al cospetto di un'Unione europea silente sulla questione", ha denunciato Christophe Deloire, segretario generale di Rsf in un comunicato. Dopo la Turchia nel classifica dei Paesi con il maggior numero di giornalisti arrestati, ci sono la Cina e l’Egitto, altre due realtà dove la liberta di stampa sembra non avere alcun valore.

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