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Le star del football Usa in ginocchio contro Trump: “Licenziateci tutti”

Si allarga la protesta del mondo dello sport Usa contro il presidente Trump, che ha attaccato i giocatori che non si alzano in piedi durante l’inno nazionale prima delle partite: “Vanno tutti licenziati. I tifosi boicottino i match”. Solidarietà da LeBron James, Stephen Curry e Steve Wonder.
A cura di Ida Artiaco
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Si allarga a macchia d'olio la protesta del mondo dello sport statunitense contro il presidente Donald Trump. In particolare, si è aperta una vera e propria guerra tra il tycoon newyorkese e le star del football a stelle e strisce, in seguito alle dichiarazioni rilasciate dall'inquilino della Casa Bianca contro i giocatori che protestano a favore delle persone di colore che subiscono maltrattamenti dalla polizia. A Wembley, dove domenica si è giocata la sfida tra Jacksonville Jaguars e Baltimore Ravens, durante l'inno molti giocatori si sono inginocchiati e sono rimasti in silenzio per protesta proprio contro Trump. E anche chi è rimasto in piedi, ha messo le mani sulle spalle dei compagni in segno di solidarietà. Ad avviare il gesto di dissenso è stato Colin Kaepernick, il giocatore che lo scorso anno si era inginocchiato all’inno nazionale per denunciare il trattamento degli afroamericani. Da allora la mobilitazione si sta allargando, dal basket al football americano fino al baseball e addirittura al mondo della musica. Basti pensare che Stevie Wonder si è inginocchiato sul palco di Central Park a New York durante il concerto di sabato sera, 23 settembre.

La risposta di Trump: "Licenziateli o sospendeteli"

La risposta del presidente Usa non si è fatta attendere. "Se i tifosi della NFL, la lega professionistica del l football americano, rifiuteranno di andare alle partite fino a quando i giocatori non smetteranno di non rispettare la nostra bandiera e il nostro Paese, si vedranno presto i cambiamenti. Licenziamento o sospensione!", ha scritto su Twitter. Ad infiammare la protesta, tuttavia, era stato lo stesso Trump, che lo scorso venerdì, nel corso di un comizio in Alabama per sostenere l'elezione di un senatore repubblicano, si era scagliato contro i giocatori di football che non si alzano in piedi durante l'inno prima delle partite. "Sono dei figli di p., vanno licenziati", aveva urlato, chiedendo in seguito formalmente alla lega di mandare via tutti coloro che non adempiono a questo vero e proprio obbligo. Il Commissionner della NFL, Roger Goodell, ha risposto che le dichiarazioni del presidente sono "divisive e mostrano una mancanza di rispetto per tutti noi". A lui si è unito anche il presidente dei giocatori della Lega, DeMaurice Smith, dicendo che nessuno dovrebbe essere costretto a "scegliere un lavoro che chieda di sacrificare i propri diritti di opinione".

Da LeBron James a Stephen Curry, la protesta dilaga ovunque

Dal football americano, la protesta si è diffusa ben presto anche su altri campi di gioco. In primis, quelli di basket. "Mi sento frustrato, perché questa persona che abbiamo messo al potere dopo quello che è successo dopo Charlottesville sta tentando di usare lo sport per dividere ancor di più il popolo americano. E non è una cosa che posso tollerare, non è una cosa su cui posso tacere", ha dichiarato in un video la stella dell'NBA LeBron James. Alle sue parole ha fatto eco anche il collega Stephen Curry, che commentando la decisione dei campioni di football di rimanere in ginocchio durante l'inno americano, ha dichiarato: "Vuole che siano cacciati solo perché esercitano un loro diritto, e questo non è giusto". Il pilastro dei Golden State Warriors, per altro, aveva qualche giorno fa anche pubblicamente declinato l'invito del presidente alla Casa Bianca al tradizionale evento riservato ai vincitori dei campionati, provocando le ire del tycoon, che su Twitter aveva replicato: "Andare alla Casa Bianca è considerato un grande onore. Stephen Curry sta esitando, quindi l’invito è ritirato".

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