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Le iperboli sul pentimento di Antonio Iovine trasformato nel Dart Fener di Gomorra

Il pentimento di Iovine è stato raccontato come una svolta epocale che potrà mettere in crisi “Gomorra”. Nella vulgata mediatica ‘O ninno è stato rappresentato come il principe dell’impero del male con una semplificazione che annulla la complessità di una doverosa analisi storica.
A cura di Marcello Ravveduto
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Com’era prevedibile l’articolo di Saviano sul pentimento di Antonio Iovine è diventato immediatamente la fonte principale per la diffusione della notizia in rete. I siti d’informazione (da Lettera 43 ad Articolo 3, da l’Occidentale a il Velino, da L’Unità a Globalist, da Giornalettismo al Salvagente e così via) non solo citano tra virgolette interi brani del pezzo (in un caso – Antimafia Duemila – è stato ripubblicato integralmente), ma utilizzano addirittura la stessa terminologia epico-apocalittica a cui ci ha abituato lo scrittore napoletano.

Le storie di camorra si svolgono tutte in un’atmosfera cupa con dialoghi e voce narrante che si adeguano al tratto chiaroscuro delle tavole di un’avvincente graphic novel. Episodi pulp si alternano a trame occulte in cui la criminalità organizzata viene presentata come una “Spectra” criminale pronta a conquistare il mondo.

Il registro narrativo è naturalmente la perenne lotta tra il bene e il male. Tuttavia, nelle descrizioni di Saviano, il contesto narrativo si piega alla suggestione dei media audiovisivi, coinvolgendo il lettore in uno scenario decadente in cui il confine tra immaginazione e realtà è talmente labile da diventare spesso invisibile.

Gomorra è l’annuncio della fine del mondo che abbiamo conosciuto (il benessere del Novecento) e, allo stesso tempo, l’avanzamento di una nuova realtà (la globalizzazione) in cui potere e ricchezza si redistribuiscono attraverso il controllo della violenza (pubblica e privata) e dei capitali prodotti dalla narco-economia.

Siamo di fronte ad uno scenario gotico post-moderno determinato dall’attacco dell’impero del male alle nazioni del globo terrestre. Una macchia nera che si spande come l’olio inglobando politica, impresa, istituzioni e società civile. Ma se Gomorra è l’impero del male, Antonio Iovine, detto ‘o ninno (il bambino), è il Dart Fener della situazione. Panorama lo ha addirittura definito il viceré dei casalesi.

Eccolo il principe del potere oscuro, colui che è in grado di scatenare con un cenno del capo una malvagia tempesta, pronto ad attraversare le linee del nemico per mutare l’andamento della guerra. Nella sua testa ci sono piani segreti, codici cifrati, informazioni riservate, nomi e cognomi di illustri doppiogiochisti tremanti al solo pensiero che il super-boss (questo è il termine più usato dai giornalisti) possa svelare trame occulte in grado di modificare il corso della storia. Del resto, come osserva Dario Del Porto su Repubblica Napoli: “ne ha di cose da raccontare il ninno di Gomorra”.

Leggendo gli articoli reperibili on line si ha la sensazione di “un cambiamento epocale” perché con questa confessione “tutto potrebbe cambiare”. Ha scritto Guido Ruotolo su La Stampa: “Ricordate bene la data, mercoledì 21 maggio 2014, perché questo giorno rappresenterà l’inizio della fine dei Casalesi […] È vero, grazie a tanti collaboratori e al lavoro di magistrati, forze di polizia, e poi giornalisti e scrittori, di Gomorra conosciamo ormai (quasi) tutto. Ma il fatto che uno dei maledetti dei dell’Olimpo di Gomorra abbia deciso di pentirsi è un evento importante. Come se a pentirsi fosse oggi un Giuseppe Graviano o un Leoluca Bagarella di Cosa nostra”. Dunque, una divinità del male seduta alla destra dello Zeus di Gomorra (anche se non si sa bene chi sia questo padre degli dei camorristi).

Gli si attribuisce lo stesso valore di Tommaso Buscetta e Pasquale Galasso, dimenticando che tra i due c’è una sostanziale differenza: il primo, ormai perdente nella guerra contro i corleonesi, agiva in ragione di una vendetta, divenuta azione giudiziaria grazie alla guida di Giovanni Falcone; il secondo, sempre più isolato e costretto al carcere duro, ha scelto di parlare per difendere, prima di tutto, l’ingente patrimonio accumulato che rischiava di essere confiscato. Buscetta ha collaborato con la magistratura, Galasso ha trattato per scopi personali.

Questo la dice lunga sulla diversa interpretazione assegnata al pentimento da uomini d’onore e camorristi. Sono numerose le inchieste sulla criminalità organizzata in Campania ma nessuna si è mai occupata di che fine abbia fatto Pasquale Galasso e con lui Carmine Alfieri e soprattutto quali capitali ancora riescono a muovere e attraverso quali canali.

Vi è un altro aspetto, tuttavia, da prendere in considerazione: un errore di analisi storica derivante dalla semplificazione giornalistica che è grave soprattutto se proviene da una fonte autorevole. Definire Iovine il “ministro dell’economia della camorra” vuol dire da un lato far rientrare tutti i clan nella sfera di potere dei casalesi e dell’altro attribuire all’intera organizzazione criminale una struttura unitaria.

Una svista madornale se pensiamo che la camorra, dopo la sua riapparizione post fascista, si connota come soggetto plurale (clan mafiosi, bande di contrabbandieri e contraffattori, gang metropolitane, cartelli di narcotrafficanti) tanto da essere ridefinita, già alla metà degli anni Ottanta, “La camorra, le camorre”.  Sicuramente il clan casertano ha una forma mafiosa con una struttura centralizzata e una rete di rapporti con la politica locale e nazionale; le organizzazioni criminali della città di Napoli, invece, hanno una conglomerazione pulviscolare, sono rissose (proprio perché non hanno una strategia unitaria) e soprattutto non tutte agiscono all’interno di una strategia politica. Molto spesso le gang si aggregano esclusivamente intorno all’importazione e alla distribuzione della droga. È probabile, però, che si stabiliscano rapporti di collaborazione con clan di livello superiore per riciclare gli illeciti proventi, eppure ciò non significa accettarne il dominio.

Basta guardare alla storia novecentesca della camorra per notare come ogni volta che sia provato ad unificare l’azione dei clan, sotto la leadership di un singolo boss o di un gruppo, si siano provocate guerre e scissioni con migliaia di morti. Questo pentimento deriva, forse, da una logica banale ma concreta: i casalesi sono in difficoltà. Lo Stato li ha attaccati sia dal punto di vista militare, sia dal punto di vista economico; la società civile, dopo anni di silenzio, ha rialzato la testa a causa di un danno ecologico di enormi proporzioni; i tutori politici e istituzionali sono sotto processo e incapaci di arginare l’azione repressiva della magistratura.

Come la storia del borbonico Liborio Romano insegna, chi serviva un re perdente decide di passare al nemico vincente trattando la resa e conservando i quattrini. Poi quando molta acqua sarà passata sotto i ponti quei soldi ritorneranno utili per nuovi affari, in fondo ‘O ninno non ha nemmeno compiuto cinquant’anni.

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