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Opinioni

Le borse tornano a correre, sperano nell’aiuto della Bce

Borse di nuovo in allungo a Milano come in tutta Europa o a Wall Street. Gli investitori sperano che la Bce di Mario Draghi inizi ad acquistare anche obbligazioni societarie dal prossimo anno, per sostenere la ripresa. Potrebbe però rivelarsi un errore…
A cura di Luca Spoldi
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Come in un gioco di specchi, la buona chiusura di ieri di Wall Street ha permesso fin dalla mattinata alle borse europee di ripartire dopo la giornata negativa di ieri, ma poi il recupero dei listini del vecchio continente si è alimentato dalle attese del varo di un programma di acquisto di bond corporate da parte della Bce, dando il pretesto a Wall Street per prolungare il suo rimbalzo e favorire una chiusura in ulteriore rialzo delle borse del vecchio continente, Milano in testa. A trascinare il rialzo sono stati nuovamente titoli ciclici come Mediaset e banche come Bpm, Mps, Ubi Banca, Banco Popolare e Bper. Ma perché i mercati continuano a salire se l’economia resta in prognosi riservata e le manovre allo studio da parte dei vari governi europei, specialmente quello italiano, non sono esenti da critiche e presentano numeri che in alcuni casi sembrano più un’assunzione di fede che non poggiare su qualche concreta speranza di realizzazione?

Perché se la Bce realmente dovesse giudicare opportuno acquistare anche bond corporate, ossia obbligazioni emesse da società e non solo da banche (come nel caso di covered bond, per i quali è partito oggi un programma di acquisto fino a un massimo di 200 miliardi di euro, o di Abs, ossia crediti cartolarizzati, che la Bce inizierà ad acquistare da dicembre) di fatto Mario Draghi avrebbe trovato il modo di saltare le banche nel suo tentativo di far giungere la liquidità alle imprese. Con qualche rischio, ovviamente. Il primo dei quali resta quello che alla fine non se ne faccia nulla: l’ostinazione con cui la Germania continua a dichiararsi contraria a questa o altre misure che in qualche modo possano vedere la Bce configurarsi quale “prestatore di ultima istanza” è pari solo ai dubbi sull’effettiva efficacia di tali programmi nel caso si rivolgano ad aziende (o banche, o finanche stati quando ad essere acquistati sono titoli del Tesoro) che operano su mercati afflitti da una crisi da domanda.

La Bce, come la Federal Reserve o la Bank of Japan, possonocomprare tempo”, ma non possono realmente far decollare la ripresa ed il caso del Giappone, dove la “Abenomics” avrebbe dovuto basarsi su tre pilastri (una politica monetaria rilassata, una politica fiscale meno restrittiva e una significativa opera di rimozione degli ostacoli burocratici e alla concorrenza) solo uno dei quali finora si è visto dispiegato (quello monetario, appunto) con scarsi risultati,  dovrebbe servire come monito per tutti coloro che ancora credessero che la banche centrali da sole possono “togliere le castagne dal fuoco” che decenni di malgoverno hanno finito con l’accumulare a colpi di deficit e debiti pubblici.

A furia di comprare tempo gonfiando i loro bilanci, le banche centrali (sul cui ruolo e sulla cui efficacia sta crescendo da tempo un dibattito, per ora confinato al mondo accademico ma che potrebbe presto trovare una sponda in ambito politico, specie se le misure “straordinarie” si dimostrassero alla fine non più efficaci di quelle “ordinarie”) stanno sostituendosi sempre più alle banche di credito ordinarie nella funzione di prestatore di credito al sistema economico (sia pubblico sia privato). Questo da un lato è un bene perché scioglie pericolosi legami banco-sovrani che sono stati alla base del meccanismo perverso che ha portato al collasso della Grecia durante la crisi del credito sovrano del 2010, dall’altro è un male perché sostituirsi a imprese (le banche) che di mestiere dovrebbero cercare di guadagnare presentando la migliore offerta possibile in termini di servizi creditizi e finanziari e relativi costi rischia di affievolire viepiù quella concorrenza che invece sarebbe opportuno rafforzare, per il bene non solo dei clienti degli istituti, aziende o famiglie che siano, ma delle banche stesse.

Con un ulteriore rischio sullo sfondo: che qualora il potere politico decidesse di invertire la tendenza “liberale” che ha portato le banche centrali a godere di sempre più ampia autonomia e tornasse a reclamarne una “guida” più o meno illuminata, a rischiare sarebbero le tasche di tutti i cittadini. Perché è chiaro che se è lecito sperare che le banche incoraggino la ripresa e al tempo stesso abbiano a cuore il rifinanziamento del debito pubblico, meno lecito sarebbe imporre “ex lege”, magari agendo direttamente sulla Bce o sulle singole banche centrali nazionali, il rifinanziamento “a priori” di posizioni debitorie, senza tener conto del grado di rischio associato. O, peggio, imponendo una volta che le banche centrali abbiano sostituito in pieno le singole banche ordinarie una “tosatura” delle posizioni stesse, ripartendo l'onere di un simile “default pilotato” su tutti i contribuenti.

Ben venga dunque un programma di acquisto anche di bond corporate da parte della Bce l’anno venturo con lo scopo di rafforzare i sempre troppo deboli (e diseguali all’interno dell’Eurozona) segnali di ripresa, ma la ripresa vera giungerà solo quando il peso del fisco calerà, sia sul fattore lavoro sia sul fattore capitale, l’innovazione troverà spazio magari anche grazie a qualche programma mirato di assistenza attraverso ulteriori sgravi fiscali per quelle voci di bilancio correlate agli investimenti in ricerca e tecnologia, la concorrenza avrà la possibilità di modificare più ampiamente e più rapidamente i singoli settori economici. Tutto questo avrebbe indubbiamente elevati costi sociali che andrebbero, questi sì, assunti dagli stati, assistiti dall’opera delle banche centrali.

Ma il come possa avvenire tutto questo se ancora stiamo a parlare di acquisti di bond o di provvedimenti pro-crescita senza innovare la nostra cultura economica resta per me un mistero. Per questo ribadisco ancora una volta: siamo di fronte a una crisi culturale profonda, italiana ed europea. E l’impegno di tutte le parti in causa dovrebbe essere quello di accelerare il passo e compiere la “traversata nel deserto” il più rapidamente possibile e coi minori costi sociali possibili, approfittando del sollievo offerto dalla liquidità così generosamente erogata dalla Bce e dalle sue consorelle. Fermarsi a indugiare in vecchi modelli pensando che l’opera di Mario Draghi o Janet Yellen possa essere le panacea di tutti i mali sarebbe fatale.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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