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Opinioni

Le 10 cose che ci insegnano le elezioni regionali (di cui non fregava a nessuno)

Snobbate dagli elettori (e dai mezzi di informazione fino a qualche ora fa) queste elezioni regionali resteranno, a modo loro, nella storia di questa paradossale fase della politica italiana. Quella dell’uomo solo al comando (senza opposizione).
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In realtà delle elezioni regionali in Emilia Romagna e Calabria ce ne siamo accorti con grande ritardo, avendole da tempo derubricate a “test minore”, dall’esito scontato e con pochi legami con la situazione politica nazionale. A farci cambiare idea non solo il dato dell’astensionismo (clamoroso, ma nemmeno tanto…) ma anche qualche considerazione “non secondaria” sulle conseguenze del voto e sulle complicazioni che potrebbero modificare il quadro politico complessivo.

Ma insomma, cosa resta dal voto in Emilia Romagna e Calabria? Quale messaggio ci hanno inviato i pochi elettori che hanno adempiuto al loro dovere recandosi alle urne? In sintesi:

– Vince il Partito Democratico, che si riprende la Calabria ed aggiunge un’altra regione all’elenco di quelle governate dal centrosinistra. In mano al centrodestra restano Campania e Veneto (dove si voterà a breve) oltre che la Lombardia di Maroni: un dato da non sottovalutare, soprattutto perché si annacqua ancora il fronte dell’opposizione al Governo Renzi.

– Vince la Lega Nord, che fa il botto in Emilia Romagna, monetizza il lavoro di Salvini ed è pronta ad abbandonare la “secessione ed altre sciocchezze” per diventare una forza di destra, di respiro nazionale, mascherata da movimento post ideologico.

– Forza Italia non esiste più e l’eclisse di Berlusconi coincide con il dissolvimento del suo elettorato di riferimento. E le presunte “nuove leve”, dopo aver passato mesi, anni a contestare la definizione di partito personale, o peggio padronale, hanno mostrato tutta la loro inconsistenza politica e mancanza di coraggio.

– Il Movimento 5 Stelle rischia di avvitarsi su sé stesso: resiste, non cede di schianto rispetto alle Europee (e ancor di più alle politiche), avanza addirittura se paragoniamo i dati di ieri a quelli del 2010, ma ha evidentemente esaurito la spinta propulsiva e soffre la concorrenza di Salvini su alcuni temi. Per ora la catena di comando ha scelto di alzare il tiro su alcuni temi (immigrazione, euro, opposizione al Governo senza se e senza ma), ribadendo una chiusura netta dal versante comunicativo e della riflessione “ideologica”. Scelte rischiose, che rischiano di trasformare il Movimento in una riserva indiana.

– La sinistra è un cantiere con operai vecchi e poco motivati. La destra è un cantiere con operai giovani e poco preparati. I risultati sono quelli dei cantieri italiani: fermi, immobili, sempre quasi uguali a sé stessi, con minimi cambiamenti. In attesa di nuovi “finanziamenti” (leggasi qualche “pezzo” in uscita dagli altri partiti).

– Per il Presidente del Consiglio l’astensione è un “problema secondario”. Lettura singolare, non c’è dubbio. Certo, addossargli la responsabilità completa del deserto alle urne è assurdo, ma con uscite del genere Renzi sminuisce il problema della crisi della rappresentanza e del modello della delega, che dovrebbe essere ossessione di chi si presenta come “statista”. E rafforza le critiche di chi blatera dell’illegittimità della sua reggenza a Palazzo Chigi.

– Il Patto del Nazareno è più saldo che mai. Certo, forse nemmeno Berlusconi aveva previsto un simile schiacciamento (e l’effetto Salvini), ma nelle condizioni attuali solo un folle farebbe saltare il tavolo e rischierebbe di andare al voto subito. E il Cavaliere non è uno sprovveduto (la sensazione è che punti a far passare del tempo, senza concessioni sull’Italicum, vera arma finale per Matteo Renzi).

– Quella contro l’astensionismo è una partita persa in partenza. E non c’è motivo di credere in una inversione di tendenza sostanziale: troppo è il distacco tra cittadini e istituzioni, troppa la disillusione e troppo lontana la “politica dei partiti” dalla vita quotidiana delle persone. E la faccia non ce la metterà nessuno.

– Renzi piazza altri due alfieri sulla scacchiera, in attesa di capire con chi dovrà giocarsi la partita. E l'assenza di un vero avversario, con la prospettiva di una lunga reggenza a Palazzo Chigi, solo "disturbata" dalle altre forze politiche, rischia di avere un effetto anestetizzante. Insomma, altro che affluenza al 40%…

– Da settimane si segnalava un clima di tensione e di contestazione nei confronti del Presidente del Consiglio. Corpi intermedi, ceti popolari, corporazioni e semplici cittadini sembravano "sul piede di guerra". Per ora, sono semplicemente rimasti a casa (forse per mancanza di alternativa, anzi senza forse). Messo così è tutto sommato un buon affare per Renzi.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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