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Lavorare? Vai all’università per ricchi. Vergogna, don Milani non vi ha insegnato nulla

Università migliori e peggiori per i punteggi ai concorsi di Stato: la proposta rischia di dividere l’Italia. E la memoria va all’allarme lanciato quasi quarant’anni fa in uno straordinario libro, la Lettera a una Professoressa di don Lorenzo Milani.
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«Voi dite d’aver bocciato i cretini e gli svogliati. Allora sostenete che Dio fa nascere i cretini e gli svogliati nelle case dei poveri. Ma Dio non fa questi dispetti ai poveri. È più facile che i dispettosi siate voi».
Lettera a una Professoressa, Lorenzo Milani e i ragazzi di Barbiana – 1976.

Serve rileggere un libro scritto 39 anni fa per rendersi conto della follia odierna. Dobbiamo ricordarlo, il priore di Barbiana, don Lorenzo Milani. Ho qui il libro davanti, costa pochi euro compratelo. Rileggetelo, fatelo leggere. Solo così potrete davvero arrabbiarvi quando sentirete che qualcuno, in questo caso l'onorevole deputato del Partito democratico (ma non c'è nulla di onorevole né di democratico nella proposta) Marco Meloni propone di valutare, per l'accesso ai concorsi pubblici, non solo il voto di laurea, ma anche l'Università di provenienza.
E già: un laureato alla Luiss non vale un laureato all'Università della Calabria, uno alla Bocconi di Milano non vale uno alla Federico II di Napoli. Quindi perché farli concorrere insieme con le stesse possibilità a un concorso? Quello della Bocconi ha un pedigree migliore. È razza dirigente.

Dopo aver fatto crollare ogni dignità nella selezione del corpo docente, aver tagliato ogni speranza ai ricercatori valorosi e sfruttati, aver distrutto la didattica nelle eccellenze e le speranze della meglio gioventù nata sui banchi di scuola in Italia e pronta a sbocciare in Italia ma invece costretta a fiorire altrove, cosa si fa? Si creano le distinzioni, le classifiche tra Università e Università. Indovina chi ci va peggio? Quegli atenei che non hanno soldi, quelli non finanziati dai grandi gruppi industriali, quelli con facoltà umanistiche che secondo lorsignori «non servono più a nulla». Il rischio preconizzato da don Milani quasi quarant'anni fa si fa concreto, reale;

«Se le cose non vanno, sarà perché il bambino non è tagliato per gli studi. «L’ha detto il Professore. Che persona educata. Mi ha fatto sedere. Mi ha mostrato il registro. Un compito pieno di freghi blu. A noi non c’è toccato intelligente. Pazienza. Andrà nel campo come siamo andati noi. A questo punto lei ci obietterà che siamo capitati a far gli esami in scuole particolarmente disgraziate. Che per l’appunto anche da fuori ci son venute notizie tutte tristi. Che lei conosce decine d’episodi veri quanto i nostri, ma che dimostrano il contrario».

Ritirate quest'emendamento. Stracciatelo, buttatelo nel più profondo dei cestini. Smentitelo, smentitelo subito.
Ne va di mezzo l'uguaglianza nazionale. Sancita dalla Costituzione Italiana. O volete che pure quella valga per uno sì e per l'altro no?

PS: Marco Meloni, in una nota su Facebook, dice che la sua proposta originaria prevedeva «semplicemente l’abolizione del voto minimo di laurea quale filtro per la partecipazione ai concorsi pubblici». Beh, è ancora in tempo per mettere una pezza.

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Giornalista professionista, capo cronaca Napoli a Fanpage.it. Insegna Etica e deontologia del giornalismo alla LUMSA. Ha una newsletter dal titolo "Saluti da Napoli". È co-autore dei libri "Il Casalese" (Edizioni Cento Autori, 2011); "Novantadue" (Castelvecchi, 2012); "Le mani nella città" e "L'Invisibile" (Round Robin, 2013-2014). Ha vinto il Premio giornalistico Giancarlo Siani nel 2007 e i premi Paolo Giuntella e Marcello Torre nel 2012.
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