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La vita di Ester spezzata dallo stalking

Viveva in uno stato di incessante angoscia, usciva accompagnata, si guardava le spalle quando camminava in strada e aveva rimosso tutte le sue foto da Facebook. Nella vita di Ester Pasqualoni, sgozzata all’uscita dall’ospedale in cui lavorava a Teramo, c’era uno stalker. Contro quest’uomo l’oncologa madre di due figli aveva sporto denuncia, poi archiviata dalle autorità per un vizio di forma.
A cura di Angela Marino
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Viveva in uno stato di incessante angoscia, usciva accompagnata, si guardava le spalle quando camminava in strada e aveva rimosso tutte le sue foto da Facebook. Nella vita di Ester Pasqualoni, sgozzata all'uscita dall'ospedale di Val Vibrata in cui lavorava a Teramo, c'era uno stalker. Contro quest'uomo l'oncologa madre di due figli aveva sporto denuncia, poi archiviata dalle autorità per un vizio di forma.

Separata, sola, era reduce da un matrimonio fallito e dalla traumatica esperienza della morte del suo nuovo compagno, stroncato da un infarto. Ogni giorno la dottoressa 53enne affrontava le emergenze del pronto soccorso oncologico, dove lavorava con una umanità e professionalità apprezzate da tutti i suoi colleghi. Salvava vite, a volte, ma non la sua, spezzata da una roncola a pochi passi dall'auto che stava raggiungendo nel parcheggio dell'ospedale. Mentre le indagini, che vagliano tutte le piste, si concentrano sul ritrovamento, a Martinsicuro (Teramo), di una Peugeot 206 bianca sporca di sangue, si cerca l'uomo che Ester aveva denunciato.

Il suo, si va ad aggiungere alla catena di femminicidi che insanguinano l'Italia, provando la triste verità che anche in contesti lontani dalla criminalità e dal degrado si consumano violenze terribili e perpetrate nel tempo. Non solo, l'ennesimo omicidio di genere riapre il dibattito sulla necessità di attività di prevenzione che prevengano la violenza. Troppo spesso alcuni segnali vengono sottovalutate.

Ne è un esempio il caso della sentenza – che fa scuola – con la quale la Corte d'appello di Messina ha condannato i magistrati che lasciarono nella possibilità d'azione marito violento di Marianna Manduca, che aveva denunciato il marito, Saverio Nolfo, ben 12 volte prima di essere uccisa da questi con un coltello. Secondo la Corte ci fu ‘dolo e colpa grave nell'inerzia' dei giudici che non intervennero di fronte alle testimonianze della vittima. Marianna, 32 anni, aveva denunciato di essere stata più volte minacciata di morte dal marito.

Nel caso del femminicidio avvenuto a Palagonia in provincia di Catania, è stato il cugino della vittima, Carmelo Calì, che ha adottato i tre figli della donna rimasti orfani a chiedere giustizia denunciando il mancato intervento dei magistrati.

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