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La storia di Ruben, il bambino con due mamme che per lo Stato italiano non esiste

Il piccolo, che è nato fuori dall’Italia è, per la legge spagnola, comunque italiano ovunque si trovi. Ma l’atto di nascita non è trascrivibile perché l’Italia non ha una legge sulle unioni tra persone dello stesso sesso e sulle famiglie omogenitoriali.
A cura di Gaia Bozza
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Ruben ha due occhi grandi, poche settimane e già ha ingaggiato una battaglia. Ha due mamme italiane, Daniela e Marta, che si sono sposate e vivono in Spagna, a Barcellona, da sette anni. Ma Ruben  è senza documenti e, così piccolo, deve già intraprendere una lotta insieme alle sue mamme per "esistere". Il piccolo, che è nato fuori dall'Italia è, per la legge spagnola, comunque italiano ovunque si trovi perché nato da genitori italiani, dunque è all'Italia che bisogna richiedere i documenti per il piccolo (qui una spiegazione su come funziona). Ma sul suo atto di nascita non ci sono un nome maschile e uno femminile, poiché questa è una famiglia omogenitoriale. E l'Italia non ha una legge che tuteli le coppie dello stesso sesso, né i bambini nati in famiglie omogenitoriali. Per questo, il bimbo non viene registrato all'anagrafe del Comune di Napoli, che è la città di origine della madre biologica. Ruben è, a conti fatti, invisibile. Non esiste. Non ha diritto all'assistenza sanitaria in Spagna, poiché – appunto – non ha documenti. E non può spostarsi dal Paese: "Siamo in ostaggio – dice Daniela – Non possiamo uscire dalla Spagna, io non posso tornare in Italia con nostro figlio". Sull'assistenza sanitaria negata le due madri di Ruben raccontano una disavventura, incredibile in un Paese avanzato: al momento il bambino non ha un pediatra che lo segua e tra poco non potrà accedere alle cure del sistema sanitario nazionale; l'unica cosa che potrà fare sarà rivolgersi al Pronto Soccorso.

La trafila è stata già lunga: le due donne si sono rivolte prima al Consolato in Spagna, dove "ci hanno sconsigliato di inoltrare la domanda per ottenere i documenti poiché si sarebbe bloccata", ci spiegano Marta e Daniela, "e ci hanno consigliato di rivolgerci alla Procura". Ma non si sono arrese subito alla via giudiziaria. Hanno provato a rivolgersi direttamente al Comune di Napoli, dove è nata Daniela, la madre biologica di Ruben. Anche qui, però, non è stato trascritto l'atto di nascita del piccolo. Né con i due cognomi, né solo con quello della madre biologica Daniela. Un unico caso nel quale c'è stata la trascrizione senza ricorrere alla Procura, in verità, c'è stato: il Comune di Roma, a Febbraio scorso, ha trascritto l'atto di nascita del piccolo Leon, bimbo nato in argentina da due mamme, una delle quali italiana, dopo la mediazione di un legale. Storia più complessa per uno tra gli esempi precedenti, quello di Torino, dove si è dovuti ricorrere alla Procura: il Tribunale ha dato ragione alle due donne, ma la Procura ha presentato ricorso in Cassazione perché per il procuratore generale Maddalena "la Costituzione parla di uomo e donna". In entrambi i casi, tra l'altro, una delle due madri è straniera, per cui il bambino aveva già la cittadinanza dell'altro Paese. Il prossimo passo per Daniela e Marta, quindi, sembra essere obbligato: la Procura di Roma.

In tanti avevano consigliato a Daniela e Marta di "farsi furbe"; la legge si può aggirare, ad esempio Daniela avrebbe potuto presentarsi in Italia come madre single: "Ma io non voglio essere furba – protesta Daniela con Ruben in braccio – Noi due ci siamo sposate, qui in Spagna siamo una famiglia anche per dare dei diritti a Ruben già dalla nascita, voglio i miei diritti. Se l'Italia non vuole riconoscere e tutelare noi come famiglia, almeno lasci che a tutelarci sia un altro Paese". Intanto, la loro storia sta facendo rumore e sono tante le persone che scrivono alle due donne: "Molti sono messaggi di incoraggiamento e offerte di aiuto  – spiegano – Altri sono messaggi poco carini di persone che ci contestano". Questa è l'Italia: gli ultra conservatori contro le coppie omosessuali, quelli che "la vita prima di tutto" non hanno problemi ad accettare che la vita di un bambino non sia tutelata. Almeno le istituzioni di un Paese laico, però, dovrebbero.

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