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La storia di Elena, uccisa dal marito medico con tre iniezioni letali: voleva lasciarlo

Elena Fioroni è stata uccisa nel 2006 con tre iniezioni di benzodiazepine nella villetta di famiglia alla periferia di Padova. A iniettarle le dosi letali il marito medico, Gianluca Cappuzzo, specializzando. Non accettava che la giovane ereditiera e madre dei due suoi bambini lo lasciasse.
A cura di Angela Marino
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Voltabarozzo, periferia di Padova. Negli interni dell'elegante villetta dei Cappuzzo, all'alba di quel mattino di febbraio del 2006, proviene un fortissimo odore di etere. Tutto intorno è in ordine e in casa c'è un sinistro silenzio. La colf polacca arrivata per rigovernare la casa, nota che il bagno è chiuso, così usa una passepartout di riserva per entrare. La porta si apre su una vasca insanguinata all'interno della quale appare la terribile vista del corpo della giovane padrona di casa, semiseduto e composto. Quando i soccorsi arrivano nella villetta, per Elena Fioroni, 31 anni, madre di due bambini, non c'è più niente da fare. Dal suo telefono sono partiti due sms di addio, uno alla madre ("Ti ho fatta molto soffrire"), uno al marito ("Pensa tu ai bambini") dal quale si stava separando. La giovane mamma si sarebbe tolta la vita dopo un lungo periodo di depressione. Una morte assurda che scuote la città veneta dove la coppia Cappuzzo-Fioroni era conosciuta. Ereditiera (il padre le aveva lasciato 1 milione 250mila euro) era stata sposata con Gianluca Cappuzzo, 35 anni, un medico specializzando in chirurgia, figlio di un affermato primario morto due anni prima.

Il finto suicidio

Gianluca Cappuzzo
Gianluca Cappuzzo

Gianluca, il marito che aveva lasciato la casa coniugale da un mese, accorre nella vecchia casa allertato dalla domestica. Mentre sta raggiungendo la villetta incontra una pattuglia della polizia locale, la ferma e si fa scortare sul luogo della tragedia, quasi avesse il timore di entrarvi da solo. Arriva così nella casa dove Elena ha trascorso la sua ultima notte prima di una fine atroce. Qualcosa, però, in quella scena non quadra, lo notano subito i vigili, e infatti sarà l'autopsia a confermare che la bellissima ereditiera padovana non è morta dissanguata per i tagli ai polsi: è stata avvelenata. Tre iniezioni di benzodiazepina le hanno provocato un edema polmonare, che ne ha causato il decesso. Contestualmente, qualcuno le ha tagliato le vene simulando il suicidio.

Il movente economico

Al centro dei sospetti finisce immediatamente l'ex marito 35enne, il quale dichiara che la sera prima aveva fatto visita alla moglie e ai bambini e le aveva somministrato un antidolorifico per un forte mal di schiena. Nella casa, nei sacchetti dei rifiuti, finanche nei cassonetti ispezionati minuziosamente dagli investigatori, però, non c'è traccia della siringa utilizzata dal medico. Un particolare che si aggiunge alla testimonianza di Elena Majoni, amica della vittima ed ex moglie del regista Gabriele Muccino e a quella di altre persone che segnalano comportamenti molesti da parte di quel marito che proprio non voleva la separazione. Secondo alcune persone vicine alla vittima, Cappuzzo, medico specializzando non accettava l'idea di rinunciare, con il divorzio, a una procura con cui era autorizzato a disporre del (cospicuo) patrimonio di lei. Gli inquirenti ipotizzano un movente economico che si innesta in una situazione di conflitto dovuto alla volontà di Elena di emanciparsi da un uomo possessivo, violento, che più volte l'aveva minacciata.

Le minacce

La notte del 5 gennaio 2006 – come avrebbe riferito poi l'avvocato di Elena, Federica Giardini – pochi giorni prima del delitto, l’aveva svegliata e portata fuori dicendole che la madre di lei era stata colta da un malore. Invece la portò un argine e minacciandola con la pistola, le disse che l'avrebbe ammazzata e si sarebbe ammazzato se fosse andata avanti con la separazione. Elena però non ne poteva più di quel rapporto in cui era da sola di fronte alle difficoltà. Sola era rimasta quando, dopo la nascita della seconda figlia era sprofondata in una depressione nera ed era stato necessario un mese di ricovero alla casa di cura Parco dei Tigli per tornare a vivere; sola a casa coi bambini, con i quali il marito si mostrava freddo. Eppure con il supporto di uno psicoterapeuta era tornata felice e splendente come un tempo e voleva ricominciare senza la zavorra di quel matrimonio finito. Ma Gianluca non lo avrebbe permesso era infatti disposto a riportare la moglie a sé anche con la manipolazione: le aveva anche raccontato di avere un tumore terminale.

Il processo

Gianluca Cappuzzo è stato processato per omicidio premeditato. Gli è stato contestato di aver narcotizzato la moglie con l'etere, di averle iniettato tre dosi di benzodiazepine e di averle tagliato le vene. Nel 2011 la Cassazione ha confermato la condanna a 26 anni di reclusione comminata in sede di appello, in virtù dell'applicazione alle attenuanti generiche. Grazie all'indulto e alla buona condotta, Cappuzzo potrebbe uscire anche prima del termine della pena. Non ha mai ammesso la sua colpevolezza.

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