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La storia da romanzo di Ameen, il violinista “segreto” di Mosul che osò sfidare l’Isis

Ameen Mokdad è un giovane artista iracheno. Suona il violino, la chitarra e il violoncello. Perseguitato dalla polizia religiosa dell’Isis, ha vissuto due anni e mezzo prigioniero nella sua casa di Mosul. Nonostante le minacce di morte e il regno di terrore dei jihadisti è riuscito a sopravvivere grazie alla sua passione per la musica.
A cura di Mirko Bellis
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Ameen Mokdad suonando il violino durante un'esibizione pubblica
Ameen Mokdad durante un'esibizione pubblica (Foto: @AmeensArt)

Quando un giorno d'estate del 2014 gli estremisti islamici conquistarono Mosul e Abu Bakr al-Baghdadi proclamò la nascita del Califfato, Ameen stava suonando sul tetto della sua casa. I vicini del quartiere di Al Salam, a sud-est della città, erano abituati ad ascoltare la melodia del suo violino ma Ameen non sapeva ancora che quella sarebbe stata, per molto tempo, la sua ultima esibizione in pubblico. L’incubo in cui sprofondarono milioni di iracheni era appena iniziato: i fanatici della polizia religiosa, l’Hisbah, chiusero le biblioteche, misero al bando il tabacco e proibirono suonare strumenti musicali. “Non dimenticherò mai quel 10 giugno – ha raccontato l’artista in un’intervista al periodico inglese The Telegraphquel giorno la musica è morta”.

Figlio di artisti – il padre è scultore, la madre pittrice – Ameen iniziò a suonare il violino a 10 anni. Le esibizioni pubbliche di questo violinista oggi trentenne erano molto apprezzate e Ameen ricorda orgoglioso i premi vinti grazie alla sua musica. Ma, secondo le nuove regole imposte dagli uomini del Califfato, chiunque fosse sorpreso a suonare, o anche solo ad ascoltare musica, doveva essere severamente punito, anche con la morte.

Ameen decise così di nascondere nella cantina di casa tutti i suoi strumenti e di fuggire con la sua famiglia nella capitale irachena. Era sicuro che il regno di terrore che i jihadisti stavano instaurando sarebbe durato molto poco. Invece, giorno dopo giorno, le settimane si trasformarono in mesi e i jihadisti continuavano indisturbati a soggiogare la popolazione di Mosul. Nel tentativo di recuperare i suoi “figli”, come chiama i suoi amati violini, Ameen nel gennaio del 2015 ritornò in città. “Avevo paura che Daesh (l’acronimo arabo per indicare l'Isis) avrebbe scoperto i miei strumenti”, ha rivelato. “Pensavo davvero di farcela. Che pazzia ho commesso”.

Nonostante i posti di blocco in tutta la città riuscì lo stesso ad arrivare fino a casa. Una volta presi gli strumenti cercò di lasciare Mosul però questa volta non fu così fortunato. “Mi fermarono e cominciarono ad interrogarmi – prosegue – mi chiesero chi fossi e perché volessi andare nella terra dei kafir (gli infedeli o miscredenti)”. “Non mi credettero e fui costretto a tornare indietro. Ero in trappola”, ammette.  Ameen fece ritorno nella casa di famiglia ma ad aspettarlo non c’era più nessuno, molti degli amici d’infanzia e quasi tutti i vicini erano fuggiti. Al pari di tanti altri abitanti di Mosul si sentiva sorvegliato, con la sensazione che un passo falso avrebbe potuto costargli la vita. E proprio come il pianista ebreo Władysław Szpilman – la cui storia è diventata celebre grazie al film di Roman Polanski (Il Pianista, 2002) ­– Ameen è riuscito a sopravvivere alla barbarie grazie alla sua passione per la musica.

Per superare la prigionia cominciò a suonare nella parte più nascosta della casa coprendo le finestre con delle coperte per impedire che la melodia del suo violino potesse essere ascoltata dagli estremisti. Passava i giorni componendo e immaginando concerti in cui suonava con una vera orchestra. “Era il mio modo di lottare contro l’ideologia dei fanatici. Potevano privarmi della libertà ma non potevano togliermi la mia arte”. Usciva di casa solo per andare a comprare un po’ di frutta e verdura ma, in un’occasione, vide il centro del mercato trasformato in un cinema all'aperto. “Stavano proiettando un film con le loro esecuzioni e obbligavano anche i ragazzini a guardarlo”. “Quando non c’erano i filmati di torture – prosegue il suo racconto – usavano la piazzetta per le punizioni pubbliche”.

Ameed sprofondò nella più profonda tristezza quando a febbraio del 2016 arrestarono un quindicenne accusato di ascoltare musica occidentale. Dopo alcune settimane, il corpo decapitato del ragazzo fu consegnato alla famiglia affinché servisse da monito a tutti coloro che osavano disobbedire. Tuttavia, questo coraggioso artista continuò a suonare e a postare sulla sua pagina Facebook i video delle sue performance perché, come ammette lui stesso, “una vita senza musica non è immaginabile”. Ma in un caldo giorno di luglio dell’anno scorso, la polizia religiosa dell’Isis fece irruzione nella sua casa. “Mi interrogarono per tre ore – ricorda Ameen – si portarono via i miei strumenti (tre violini, due chitarre e un violoncello), tutti i miei dischi e mi dissero che sarebbero tornati il giorno dopo per insegnarmi che la musica era il male”.

Costretto a scappare di nuovo, trovò rifugio nella casa di un cugino nel quartiere di Al-Wahda, alla periferia sud est di Mosul. Privato della musica e dei suoi violini, ad Ameen rimaneva solo l’immaginazione. Cominciò quindi a comporre brani e a costruire con un pezzo di legno e alcune vecchie corde di chitarra una specie di arpa per continuare a suonare.

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In quella nuova prigione, Ameen passò altri sei mesi prima che in gennaio di quest’anno l’esercito iracheno liberasse la zona. “Ho aspettato così tanto il momento in cui sarebbero venuti a salvarci che quel giorno ho pianto quando ho visto i soldati”, ricorda. Adesso Ameen vive con la sua famiglia a Baghdad dove sta risparmiando i soldi per comprare un nuovo violino. “La mia esperienza sotto l’occupazione dell’Isis è stata profonda ma non ho mai smesso di suonare e scrivere perché voglio che i terroristi sappiano che la speranza non potrà mai essere rubata”, ha concluso.

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