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Opinioni

La sconfitta di Matteo Renzi è un messaggio: “cambiamento” è una parola vuota

Quella del referendum è la sconfitta di un progetto di Governo e di una visione della società, oltre che il segno di una lacerazione profonda del Paese. Una sconfitta inevitabile, però, perché Renzi non poteva far altro che legare il proprio destino politico alla riforma del Paese e delle istituzioni.
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Il 4 dicembre gli italiani hanno respinto a larga maggioranza la proposta di riforma della Costituzione che portava la firma del Presidente del Consiglio Matteo Renzi e del ministro per le Riforme Maria Elena Boschi. La scelta ha determinato le dimissioni di Renzi da Palazzo Chigi, dopo l’approvazione della legge di bilancio, le nuove consultazioni per la formazione di un nuovo Governo o per il voto anticipato.

Prospettive determinate dalla decisione di Renzi di legare a doppio filo la sua esperienza al Governo al risultato del referendum, dunque alla riforma della Costituzione. Ora, qualunque siano gli sviluppi futuri, appare di particolare interesse analizzare i flussi di voto del 4 dicembre, per capire non solo le ragioni di una sconfitta clamorosa, ma anche quale potrebbe essere l'orientamento degli italiani nel caso di un ritorno alle urne nel breve e medio termine.

Cominciamo dall'affluenza. L’affluenza alle urne complessiva è stata del 65,47%, in Italia ha votato il 68,48%, all’estero il 30,75%. È un dato vicino a quello registrato alle ultime elezioni politiche del 2013, ma lontanissimo non solo da quello dell’ultimo referendum sulle trivelle (31,2%, ma lì contava il raggiungimento del quorum), ma anche da quello delle Europee (57,2%) e delle Regionali 2015 (52,2%). Come avevano già anticipato analisti e sondaggisti, un dato così alto non avrebbe potuto che sfavorire Matteo Renzi, dal momento che si ipotizzava un ritorno al voto di quell'elettorato sfiduciato / disincantato, tendenzialmente anti-governativo. L'elettorato di riferimento del Presidente del Consiglio è invece tradizionalmente propenso a recarsi alle urne, come ha ampiamente dimostrato il dato delle Europee del 2014.

Perché Renzi ha "convinto" milioni di persone a recarsi alle urne? La risposta a questa domanda è allo stesso tempo la motivazione più profonda della fine dell'esperienza a Palazzo Chigi del Presidente del Consiglio, che non a caso aveva legato la sua figura di leader politico al destino del Governo, al percorso di riforma e alla stessa funzione del Partito Democratico. Capire perché Renzi abbia perso il referendum, significa anche capire cosa non abbia funzionato nei suoi oltre 1000 giorni a Palazzo Chigi, insomma.

Molti sostengono che si sia inceppata la macchina comunicativa renziana. Quella basata sulla disintermediazione, sulla definizione di immagini di alterità e conflitto: il nuovo contro il vecchio, il fare contro il discutere all’infinito, il progresso contro il conservatorismo. Quella narrazione che si sovrappone ai fatti, che banalizza in slogan questioni complesse, che punta al fine ultimo, considerando feticci privi di valore le formalità, i tempi lunghi della democrazia, la dialettica interna alla società. Ezio Mauro ne ha scritto su Repubblica parlando di “semplificazione della politica” come errore essenziale di Renzi:

È stata inventata da Renzi come il post-linguaggio, dopo la fine delle ideologie, delle appartenenze, delle distinzioni di campo tra destra e sinistra. Arrivata alla sua forma estrema nella logica propria del referendum — la riduzione del discorso politico alla scelta basica tra un Sì e un No, senza sfumature — quella semplificazione si è imbizzarrita, disarcionando il suo cavaliere e gettandolo a terra sconfitto, senza rimedio. Una riforma della Costituzione è cosa complessa, che va spiegata con pazienza nella sua logica e nella tecnica. Qui ha preso l’aspetto di un mezzo colpo d’accetta contro la “casta”

Il punto però è che questo aspetto è da sempre connaturato alla “ideologia renziana”, che vede il segretario del PD in una perenne campagna elettorale, fatta di presenzialismo, di semplificazione concettuale, di un uso sapiente di orpelli retorici e “populismo di Governo” (la politica dei bonus ne è un esempio lampante). Renzi è da sempre una macchina da consenso, l’esaltazione del consenso come valore in sé, a prescindere dalla provenienza e dal peso politico (“Io voglio anche i voti della destra”, lo avrà ripetuto decine e decine di volte).

Più ampia è la platea cui ci si rivolge, più semplice è il linguaggio, più grande il rischio di scontentare tutti. Ma è un rischio immanente per Renzi, che nasce dal muro contro muro (con la vecchia classe dirigente del Pd) e si è sempre nutrito di contrasti, di alterità radicali. Così la semplificazione, la riduzione al "o noi o loro", ha avuto l'effetto di compattare le opposizioni, esasperando lo scontro e polarizzando le posizioni. Perché questa volta la polarizzazione non ha spaventato gli elettori disillusi / sfiduciati e li ha invece convinti a recarsi alle urne? Perché la posta in palio era altissima e il fronte del No poteva fare leva su un punto centrale: difendere la Costituzione. E l'hanno difesa proprio abbondando con le semplificazioni, gli slogan, le frasi fatte, le mezze bufale.

Però:

Milioni di elettori disillusi e disincantati hanno pensato fosse un loro dovere scegliere, esprimersi o addirittura esporsi, hanno capito che le distanze erano nette, chiare e definite, e hanno preso posizione. La diffusione delle informazioni, anche grazie ai social network tanto bistrattati, è stata poi decisiva: una questione complessa è stata sviscerata nel dettaglio, ma anche parcellizzata, sminuzzata, resa digeribile e comprensibile da decine di articoli, approfondimenti e analisi; il buzz generato intorno a un argomento “tecnicamente ostico” è stato impressionante e ha raggiunto decine di milioni di persone; la marea di bufale, fake news e manipolazioni è stata accompagnata da un’altrettanto poderosa ondata di debunking, materiale informativo e divulgativo; l’attività dei siti di informazione è stata frenetica, quella delle pagine Facebook (di ogni genere e tipologia) pure, la presenza televisiva dei big della politica è stata martellante, le radio ci hanno inondato di materiale elettorale, insomma, per dirla tutta: il referendum era ovunque, nessuno era al sicuro.

Insomma, parlare di errore nella comunicazione, di strategia fallimentare, di controproducente invasione social, di sbagliata occupazione degli spazi televisivi, significa dimenticare come nasce il "prodotto Renzi", quali sono le sue peculiarità e i suoi punti di forza.

Piuttosto converrà partire da un assunto: il No al referendum, diventato No al Governo Renzi (per scelta politica, prima di tutto dello stesso segretario del PD), è stato determinato dalla coalizzazione di una serie di forze sociali e politiche, intorno al baluardo della Costituzione, che è stata considerata dagli italiani come "in pericolo". La "nuova lotta partigiana" si è intrecciata con questioni profonde, affrontate male o comunicate male dal Governo in carica: in primo luogo quella generazionale, legata a doppio filo all'annosa questione meridionale, e aspetto centrale di quella sociale e culturale.

L’analisi QUORUM per SkyTg24 ha evidenziato come nella fascia d’età fra i 18 e i 34 anni i No siano stati l’81% del totale, in quella fra i 35 e i 54 anni i No abbiano toccato quota 67%, in quella dai 55 anni in su i No siano stati il 55% del totale.

Un focus de Il Sole24Ore ha aggiunto un ulteriore elemento: “Tra chi, oltre ad essere giovane, è anche disoccupato, le ragioni del No hanno fatto ancora più presa. Al crescere della disoccupazione tra chi ha 18 e 29 anni, anche qui la fonte è Istat, aumenta anche la percentuale di voti contrari alla riforma costituzionale”. Un dato che assume una valenza ancora più significativa se lo si esamina relativamente alle sole Regioni meridionali (quella in cui il tasso di disoccupazione giovanile è drammaticamente più alto):

  • CAMPANIA: Sì 31,48% – No 68,52%
  • PUGLIA: Sì 32,88% – No 67,12%
  • BASILICATA: Sì 34,11% – No 65,89%
  • CALABRIA: Sì 32,98% – No 67,02%
  • SICILIA: Sì 28,42% – No 71,58%
  • SARDEGNA: Sì 27,78% – No 72,22%

Insomma, l’incapacità di risolvere la questione generazionale che, lo ripetiamo, è al contempo meridionale e occupazionale, sembra essere uno dei punti dolenti dell’esperienza di Governo. E che su questo terreno si giocasse una partita decisiva Renzi lo aveva capito benissimo: non a caso al Sud ha riservato un “trattamento particolare” in campagna elettorale, con iniziative specifiche e qualche annuncio ad hoc, come la decontribuzione totale per le aziende che avessero investito nel Mezzogiorno o i patti con le singole Regioni. Un’operazione che non è riuscita, malgrado i dati testimonino un lieve miglioramento del dato sulla disoccupazione giovanile e una timida ripresa dell’economia del Sud.

Probabilmente ha pesato l’enorme distanza fra gli slogan, fra lo slancio ideale, gli annunci epocali e le condizioni materiali di vita, solo scalfite dall’azione di Governo e invece tremendamente determinate dal crescere della disuguaglianza sociale, dal clima di incertezza e timore in cui sono immerse le esistenze delle giovani generazioni.

C'è poi qualche considerazione da fare sull'aspetto "psicologico", che è ormai decisivo nella distribuzione del consenso elettorale e nelle scelte dei cittadini. È il nuovo e complesso dibattito sulla "percezione della realtà", che si incrocia con la riflessione sul populismo, sulla trasformazione della politica tradizionale, sui linguaggi utilizzati dai leader e su come le persone rispondono alle "stimolazioni" dell'attualità. L'Istituto Cattaneo, ad esempio, ha inserito un nuovo elemento di analisi, inquadrato nella valutazione dell'impatto della "marginalità sociale sul voto", ovvero la paura dell'immigrazione.

La presenza di immigrati, spesso relegati nelle zone periferiche o più povere delle città, finisce per essere interpretata come l’attestazione di una perifericità sociale che si va a sommare a quella territoriale. Di conseguenza, anche in questo caso è lecito aspettarsi un voto negativo nel referendum più “forte” in quelle aree della città dove la presenza di immigrati è più diffusa

Insomma, la presenza stessa di immigrati nelle zone in cui si abita diventa quasi la conferma della propria esclusione sociale e spinge a "votare contro l'establishment". Ora, se è evidente la distanza che c'è fra il percepito e il reale, è altrettanto chiaro come i Governi siano disarmati di fronte a ciò, a meno che non provino ad abbracciare per intero la deriva populista (e non è detto che funzioni). Una sfida che si è rivelata più grande di Renzi, che sul terreno dell'immigrazione (salvo qualche reticenza, si veda il silenzio su Gorino) non ha voluto mai cedere alla tentazione populista (cosa che invece ha fatto ampiamente, abbracciando la politica dei bonus e sposando il meno tasse per tutti di berlusconiana memoria).

In generale, il voto per il No è stato percepito come un voto di protesta, contro le elite, contro i poteri sovranazionali, paradossalmente contro la burocrazia. Un momento in cui i termini "conservatore", "riformista", "innovatore" si sono mescolati, fusi assieme, confusi; una fase in cui la parola "cambiamento" è diventata un vessillo conteso da tutte le parti in campo, senza che fosse riempita di un significato concreto, reale, tangibile. Cambiamo la Costituzione, cambiamo il Paese. Non cambiamo la Costituzione, cambiamo il Paese.

In questo percorso Renzi poteva essere aiutato dal suo partito, sia sul livello territoriale che su quello più strettamente politico, della visione d'insieme, dell'orizzonte ideologico. Poteva affidare il suo progetto di Paese ai militanti del partito, legare l'azione di Governo a un percorso di ricostruzione del campo progressista. Non ci è riuscito, probabilmente nemmeno per sua responsabilità esclusiva: la minoranza interna lo ha subito accusato di voler utilizzare il referendum a scopo politico, si è messa di traverso spesso e volentieri, ha contribuito a restituire l'immagine di un leader stratega e arrivista, capace solo di dividere e mai di unire. Un "clima percepito" che ha portato molti elettori tendenzialmente del PD a votare No, proprio perché non si sono riconosciuti nell'identificazione fra la "missione del capo", quella del partito e del Paese, tanto da ritenere un pericolo la riforma della Carta. Renzi ha provato a compensare questa emorragia di voti parlando anche agli elettori degli altri schieramenti.

I dati dell'Istituto Cattaneo evidenziano come tale progetto sia fallito, malgrado il numero elevatissimo di voti in termini assoluti:

Il No va meglio, nel senso che riesce ad andare oltre ai consensi delle liste che lo sostengono, in quasi tutte le province meridionali, nelle isole e in gran parte del nord-est. Viceversa, in quasi tutte le province della “zona rossa” (Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche) e del nord-ovest, il No rimane al di sotto dei consensi ottenuti dalle liste che lo sostenevano. In molte di queste province il No ha comunque prevalso, dato il vantaggio di partenza su cui poteva contare.

La strategia di Matteo Renzi, volta a conquistare consensi alla riforma fra gli elettori di centro-destra e del Movimento 5 Stelle, non ha avuto successo. Dove un po’ di consensi sono stati effettivamente conquistati (nord-ovest e zona rossa), questi sono stati insufficienti a colmare il distacco di partenza. Altrove (nord-est, sud, isole), la strategia è stata ancor più infruttuosa: il fronte del No si è dimostrato coeso e addirittura in grado di attrarre voti aggiuntivi rispetto al dato del 2013.

Poteva fare diversamente? Poteva evitare di caricare di tale peso e significato questa consultazione elettorale? A parere di chi scrive no, proprio no. Perché il suo progetto politico era legato a questo percorso, sin dall'avvio. Perché galleggiare non avrebbe modificato il lento e costante scivolamento del consenso verso le formazioni post-ideologiche non tradizionali. È stata una scelta politica che Renzi fa bene a rivendicare.

Che poi non si dovrebbe modificare una Costituzione a maggioranza, tanto più con un progetto discutibile e sicuramente perfettibile, questo davvero è un altro discorso.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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