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La ripartizione dell’onere della prova per l’infedeltà coniugale

La Cass. del 23.5.2014 n.11516 ha stabilito che in tema di separazione dei coniugi, si presume che l’adulterio coniugale, determina l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, giustificando l’addebito al coniuge responsabile, salvo che questi dimostri che l’adulterio non sia stato la causa della crisi familiare, essendo questa già irrimediabilmente in atto, sicché la convivenza coniugale era ormai meramente formale.
A cura di Paolo Giuliano
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L'addebito della separazione ha una valenza non solo morale (di rivalsa morale di uno dei coniugi) ma anche economica, perché al coniuge al quale viene addebitata la separazione (cioè la crisi del matrimonio) non può richiedere il mantenimento (mentre potrebbe essere condannato a versare l'assegno di mantenimento). E' inutile sottolineare che i motivi di addebito della separazione sono numerosi.

L'adulterio o l'infedeltà coniugale è una delle cause (si potrebbe dire una delle cause automatiche) della crisi matrimoniale (da cui deriva la separazione e il divorzio).

Questo principio, deve però essere coordinato con un altro principio: l'infedeltà deve essere stata causa della crisi coniugale e non può essere intervenuta in seguito ad una  crisi matrimoniale già in atto. In altri termini, l'adulterio deve aver prodotto la crisi matrimoniale (deve essere stato la causa della crisi matrimoniale), ma l'infedeltà non può derivare da una crisi matrimoniale già in atto (l'infedeltà non può essere stato l'effetto della risi matrimoniale già in atto).

Quanto detto potrebbe risultare più chiaro se si ricorre ad un semplice esempio: se due coniugi non convivono più (per la crisi coniugale acclarata), se cioè i due coniugi sono di fatto separati l'eventuale infedeltà coniugale (dopo la cessazione della convivenza) non potrà essere considerata come causa o motivo della crisi matrimoniale.

E' opportuno anche sottolineare che la nozione di crisi matrimoniale non coincide con la cessazione della convivenza (separazione di fatto), in quanto la crisi matrimoniale potrebbe essere in atto anche se i due coniugi continuano a condividere lo stesso tetto. La separazione di fatto è solo una vicenda che conferma la crisi del matrimonio, così come la coabitazione sotto il medesimo tetto (molto spesso forzata per motivi economici) non significa che la crisi del matrimonio non esiste (e non significa che l'eventuale infedeltà non abbia causato la crisi del matrimonio, anche se i coniugi continuano a coabitare).

In poche parole, il tempo trascorso tra l'infedeltà e la domanda giudiziale di separazione è irrilevante quando l'adulterio ha provocato la crisi del matrimonio.

Una volta chiariti questi aspetti, occorre comprendere quali oneri probatori spettano ai due coniugi rispetto la domanda di addebito.  Risulta evidente che il coniuge che chiede l'addebito dovrà provare l'evento scatenante la crisi matrimoniale (nel caso specifico l'infedeltà dell'altro coniuge). La prova dell'infedeltà si ottiene mediante prova testimoniale, scritti (dell'altro coniuge), foto e relazioni investigative.

Restano da analizzare le possibilità difensive del coniuge che riceve una citazione di separazione con addebito a suo carico. Sicuramente il coniuge che riceve la domanda di addebito può contestare (provare) l'inesistenza dell'infedeltà, ma ha anche la possibilità di provare che l'infedeltà non è stata la causa scatenante della crisi matrimoniale, ma è stata solo un effetto della crisi matrimoniale già in atto.

In altri termini, a fronte della domanda di addebito basata sull'infedeltà e, in seguito, alla prova dell'adulterio, il richiedente l'addebito ha assolto all'onere della prova su di lui gravante, non essendo egli onerato anche della dimostrazione dell'efficienza causale dal medesimo svolta; spetta, di conseguenza, all'altro coniuge di provare, per evitare l'addebito, il fatto estintivo (della domanda di addebito) e cioè che l'adulterio sopravvenne in un contesto familiare già disgregato, (cioè deve provare che la crisi del matrimonio era già in atto) al punto che la convivenza era mero simulacro.

Cass. civ. sez. I, 23 maggio 2014 n. 11516 in pdf

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Avvocato, Foro di Napoli, specializzazione Sspl conseguita presso l'Università “Federico II”; Mediatore professionista; Autore di numerose pubblicazioni in materia di diritti reali, obbligazioni, contratti, successioni. E' possibile contattarlo scrivendo a diritto@fanpage.it.
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