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Opinioni

La retorica social della Liberazione

Fin quando lo Stato italiano non si renderà conto che la lotta per rendere Napoli e il sud finalmente italiani passa attraverso una più complessiva strategia di risarcimento morale non ci sarà alcuna vera Liberazione.
A cura di Marcello Ravveduto
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Non so come definire le tante frasi che stanno scorrendo sui wall dei social network. È la solita fiera delle ovvietà in una delle tante giornate di celebrazione. In molti commenti è chiaro l’intento di ritrovare le radici avvizzite di una sinistra più liquida dell’economia globalizzata.

Viva la Liberazione e muoia Sansone con tutti i Filistei. Eccola qua la retorica del 25 aprile. Siamo oltre la retorica; siamo all’ampollosità, alla pomposità di un Novecento che si ritorce su stesso e che non riesce ad uscire dalle sue pieghe proponendoci controfigure e marionette con qualunquisti e liberisti da bar dello Sport in vacanza perpetua.

Siamo alla pura declamazione da contesto virtuale: uno pensa e scrive un pensiero sulla Liberazione con la speranza di ricevere più “Like” dei suoi amici. È un modo per far finta di essere intellettuali anche se la tua principale attività social è il porno food. Qualcosa bisogna pur digitare sulla tastiera per partecipare allo sciame della #liberazione o del #25aprile, sciame in tutto uguale a quello di qualsiasi altra celebrazione che si trasforma in una gara di Highlitghts.

Chi cita Calamandrei, chi rispolvera Gobetti, chi s’illumina con i Rosselli, chi gioca con Bella Ciao, chi carica foto di partigiani e di papaveri, chi elenca le battaglie, chi (anche questo fa brodo) inveisce contro le Brigate Garibaldi esaltando i “ragazzi di Salò” e le vittime delle Foibe. Un insieme indistinguibile dove passa tutto e il contrario di tutto. Dopo 71 anni, la memoria di vecchie e nuove generazione si divide ancora tra fascisti e antifascisti.

In verità sui social questa diatriba sembra assumere le sembianze del gioco di ruolo: una parte interpretata ad uso e consumo dei pubblici interconnessi; anzi, a dire il vero, il nostalgico sentirsi fascista quasi quasi edulcora la malvagità delle destre del nuovo secolo, persino più pericolose dei mussoliniani d’antan, la cui acidità è uguale a quella di un prodotto scaduto che provoca un’improvvisa diarrea politica.

Tutto questo blaterare di libertà, di democrazia, di virtù civiche repubblicane (che poi sarei curioso di vedere se questi corifei della Resistenza agiscono conseguentemente nella realtà) ha sotterrato, con migliaia di post, la recente indignazione (pur sempre virtuale) per i raid delle camorre napoletane e per i casi di malasanità in Calabria. Ha ragione Ciro Pellegrino che ha fissato con un’illuminate infografica la reazione dell’opinione pubblica successiva all’ennesimo omicidio di camorra.

Vogliamo davvero rispettare i valori della Liberazione? E allora cominciamo col dire che nella storia repubblicana il sud ha difeso le libertà costituzionali con la vita di centinaia di vittime innocenti delle mafie. Carabinieri, poliziotti, magistrati, dipendenti pubblici, commercianti, imprenditori, giornalisti caduti sul campo in ossequio all’articolo 3 della Costituzione: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese».

Le mafie sono un ostacolo al pieno sviluppo delle persona umana. Prendiamo coscienza di ciò altrimenti Napoli, il Mezzogiorno e finanche il nord colonizzato dalla ndrangheta saranno semplicemente dei luoghi economici privi di legami con il dettato costituzionale. Guardate alla bella città partenopea. Si trascina nel suo trauma storico di capitale non capitale con una classe dirigente locale e nazionale che da un secolo e mezzo finge di non sapere come intervenire. Non esiste Italia senza Napoli, non esiste Napoli senza Italia. La celebrazione della Liberazione si è ridotta ad un assegno staccato dal Governo alla Regione Campania. Ma bastano i soldi ad invertire la rotta? Non sarebbe necessario progettare un intervento di azione collettiva in cui tutti si sporcano le mani e ci mettono la faccia?

Su Facebook il direttore di questa testata ha scritto: «Fb vuoi davvero sapere cosa penso? Penso cosa sarebbe successo se a Roma si fossero sparati colpi di kalashnikov contro una caserma. Penso cosa sarebbe successo se neanche 48h dopo si fosse dato vita a un altro far west metropolitano. Penso cosa avverrebbe in qualsiasi altro paese d'Europa se la terza città di una nazione fosse nelle condizioni in cui grava Napoli. In un paese normale sarebbe l'unico dibattito pubblico ma quando parliamo di Napoli tutto ciò diventa "routine"… Ci siamo assuefatti all'orrore e non ce ne rendiamo nemmeno conto». Come dargli torto.

Fin quando lo Stato italiano (ovvero quella struttura di potere dentro cui prendono forma i governi) non si renderà conto che la lotta per rendere Napoli e il sud finalmente italiani passa attraverso una più complessiva strategia di risarcimento morale (con la creazione di condizioni, materiali e immateriali, di reale uguaglianza) non ci sarà alcuna vera Liberazione, anzi la Resistenza, senza il riconoscimento storico del sacrificio compiuto dai cittadini meridionali in difesa della Repubblica, sarà una sterile celebrazione partigiana dei partigiani.

Invece abbiamo bisogno che tutti si sentano italiani, rinnovando lo spirito nazionale, il 25 aprile di ogni anno. E se questo mio dire vi suona altrettanto retorico pensate ad un uomo del nord come l’avvocato Ambrosoli che s’immolò per tutelare i diritti sanciti dalla Costituzione messi in discussione dal potere finanziario delle mafie. Scelse di essere italiano prima di essere milanese e monarchico.

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Docente a contratto di Public & Digital History presso l’Università di Salerno. Ha scritto Libero Grassi. Storia di un siciliano normale (Ediesse, 1997), Le strade della Violenza (l’ancora del mediterraneo, 2006), Napoli… Serenata calibro 9. Storia e immagini della camorra tra cinema sceneggiata e neomelodici (Liguori, 2007). Ha curato le antologie Strozzateci Tutti (Aliberti, 2010), Novantadue. L’anno che cambiò l’Italia (Castelvecchi, 2012) e Dialoghi sulle mafie (Rubbettino, 2015). Con Feltrinelli ha pubblicato Libero Grassi. Storia di un’eresia borghese (2012). È coautore del primo e del terzo volume de L’Atlante delle mafie (Rubbettino, 2012, 2015) e di Riformismo mancato. Società, consumi e politica nell’Italia del miracolo (Castelvecchi, 2014). Recentemente ha pubblicato Il sindaco gentile. Gli appalti, la camorra e un uomo onesto. La storia di Marcello Torre (Melampo, 2016). È componente del comitato scientifico della rivista «Narcomafie» e della “Biblioteca digitale sulla camorra e sulla cultura della legalità” presso l’Università Federico II di Napoli.
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