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La relatività di Einstein, uno scenario inedito per l’intera letteratura del ‘900

Sono passati 100 anni da quel 1916, anno in cui Einstein presentò la Teoria della Relatività che non solo rivoluzionò la fisica moderna ma influì sull’intero ‘900 letterario.
A cura di Silvia Buffo
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Un ritratto di Albert Einstein, con la sua Teoria della Relatività rivoluzionò la fisica moderna e non solo
Un ritratto di Albert Einstein, con la sua Teoria della Relatività rivoluzionò la fisica moderna e non solo

Il 2016 è un anno importante per le ricorrenze in ambito scientifico: è il centenario della Teoria della Relatività di Albert Einstein, che non solo rivoluzionò la fisica moderna ma ebbe un'incredibile influenza sul mondo filosofico e letterario. È il 1916, quando ancora agli esordi del ‘900, lo scienziato pubblicò la sua nuova teoria, formulata nel novembre dell'anno precedente e presentata davanti all'Accademia prussiana delle Scienze. La fisica si approcciava alla geometria e al principio di Gravità, i risultati della Teoria della Relatività Ristretta del 1905, che avevano scardinato la fisica di Galileo e Newton, fondati sull'assolutezza dello Spazio e del Tempo, si riconfermavano con più forza che mai. Da quel momento vi fu una grande risonanza oltre che una vera e propria rivoluzione scientifica, di un'entità paragonabile a ciò che accadde nel ‘600 con in seguito alle scoperte galileiane.

La relatività spazzò via come un colpo di spugna i valori assoluti del Positivismo

Tutto si va modificando grazie alle nuove istanze scientifiche prospettate da Einstein, si inaugura un ‘900 dell'incertezza, dell’esaurimento di ogni residuo positivistico, del crollo della metafisica, della relatività di ogni cosa. Le solide e austere fondamenta su cui si erigeva il positivismo sembrano non stare più in piedi: da una parte la scoperta della radioattività che diede un forte impulso alla fisica moderna, allo studio dell’atomo e alla fissione nucleare, dall’altra la scoperta della relatività di Eistein che fece collassare nettamente il metodo galileiano solida base della corrente positivistica. La febbre di ricerca non si arresta anzi avanza anche in altri ambiti: la psiche per la prima volta è acquisita al settore scientifico, grazie agli studi di Sigmund Freud e ciò fa riflettere sulla capacità da parte della scienza di modificare il Dna della storia, dei costumi, della letteratura.

Anche Galileo nel ‘600 ispirò l'arte e la letteratura barocca

Basti pensare a quando Galileo nel ‘600 con il suo “Dialogo sopra i Massimi Sistemi” sconvolse l’intero sistema tolemaico tradizionale, accostando i cieli alla terra, segnalando l’imperfezione celeste che si riversò nel fiorire della stravolgente letteratura barocca. Allo stesso modo questa ennesima rivoluzione scientifica, promossa da Einstein, porrà fine alla cultura positivistica, che fino al 1880 era la cultura ufficiale della borghesia, di quanti avevano realizzato l’Unità italiana, ponendosi in dichiarata rottura con tutto ciò, a quell'ormai assurda pretesa di incasellare tutta la realtà attraverso leggi fisiche e matematiche.

Quando tutto è relativo

I motivi di avversione e delusione nei confronti delle teorie positivistiche erano di svariata natura, dal rigido Determinismo che aveva sottratto grande spazio alla volontà e libertà umane alle leggi fisiche e razionali non più in grado di gestire il complesso mondo psichico-intellettivo dell’uomo di cui la totalità psichica era ridotta alle sole facoltà razionali, sino al totale avvilimento della fantasia e dell’immaginazione. L’attacco più forte al Positivismo venne oltretutto rafforzato dalle teorie irrazionaliste di Bergson a cavallo fra contingenza e intuizione, la ricerca delle forse occulte dell’uomo e la rivalutazione dei suoi moti inconsci, che funsero da ponte verso l'esaltazione della volontà di potenza e il mito del superuomo di cui Nietzsche aveva già ben posto le basi.

Alla ricerca di un senso in un mare di incertezze

Dunque le scoperte scientifiche, l’affermarsi delle teorie irrazionalistiche, i mutamenti in ambito sociale decostruiscono la figura dell’intellettuale, immettendolo in una fortissima crisi. Non si è più portavoci di valori eterni ed universali, di ideali ottocenteschi come l’amore, la patria, l’unità, i tormenti civili, ma è svuotato, deve ritrovare se stesso, deve ridare un senso. Questo processo di disgregazione del resto era già stato avviato attraverso il Decadentismo, quell'affascinante momento in cui la logica cede il posto all’intuizione, quel momento in cui il mistero, l’occulto, l’inconscio sono mondi nuovi da esplorare e strumenti di liberazione dell’immaginazione umana.

Il dubbio come nuovo punto di partenza

Il dubbio è ora il punto di partenza per ogni ricerca e si oppone a verità assolute che in realtà si erano rivelate inafferrabili, la parola simbolica è espressione di significati nascosti e di una visione del mondo non definita. Ed ecco confermarsi la natura dubbiosa dell'intera letteratura del ‘900, che in quella italiana possiamo scovarla ad esempio in quella quasi tenera ricerca di sé di Palazzeschi e del suo chiedersi ‘chi sono' con tono quasi canzonatorio, nel mito dell'infanzia pascoliano, fra i toni ermetici delle poesie di Montale, nella struggente incertezza esistenziale di Guido Gozzano e delle sue ‘piccole cose', fra le mille sfaccettature del romanzo psicologico da Federigo Tozzi, a Luigi Pirandello, fino ad Italo Svevo.

Orfani di un mondo perduto

Il romanzo è il genere in cui più si specchia l'intera crisi del 900, proprio come ribadì Lukàcs nella sua celebre "Teoria del romanzo”:

Nella modernità il romanzo rappresenta la condizione orfana dell’individuo, che si aggira in una realtà non più illuminata dalla luce delle stelle e che anzi soffre la lontananza da qualsiasi cielo stellato.

Ciò vuol dire che l’individuo è un nostalgico del mondo perduto che vive sulla sua pelle la crisi di ogni certezza, la perdita della concezione lineare del tempo, cioè dove tutto aveva un inizio ed una fine, dove c’è un senso finale e la costante attesa di esso ma il beckettiano "Aspettando Godot" non tarderà a farci cambiare idea.

Nel disordine di un mondo disgregato, la nuova sfida è cercare ‘unità'

Quando si parla di romanzo del ‘900 si parla di “disordine” di un mondo disgregato, del non-senso dell’esistenza che si riversa nel romanzo dove non si arriverà mai a ricostruire il senso perduto del mondo. Tuttavia nonostante questa netta consapevolezza, compito etico del romanzo è tentare di perseguire il senso. Il romanziere dovrà muoversi in una prospettiva unitaria, cercando di delineare un disegno globalizzante laddove in realtà sussistono solo frammenti di un universo disgregato e plurale. Il romanzo si muove tra l’aspirazione di ricostruire una totalità come accadde nella Recherche di Proust, di ritrovare il senso stesso, l’oggettività in questa generale dimensione di perdita irrimediabile di senso. Tuttavia il romanzo appare come l’unica forma capace di salvare il mondo orfano di ogni principio unitario. La metafisica, da Platone ad Hegel, si era estinta con Nietzsche e qualcuno aveva già gridato che ‘Dio è morto'.

La relatività, un grande salto nel vuoto verso la libertà e la conoscenza

In questa realtà frammentaria l’individuo è protagonista della scena nonostante il suo enorme senso di inadeguatezza, proprio come nelle storie di Mattia Pascal o di Zeno Cosini. Al contrario di ciò che accadeva nell’arte tradizionale dove tutto si edificava sulla totalità, sul senso, dove uomini e dei convivevano insieme e gli uomini potevano riconoscersi in essi. In questa dimensione di disgregazione esistenziale Einstein e la sua relatività furono il comune denominatore dell'incertezza umana e universale che invase le coscienze in maniera capillare. Un grande salto nel vuoto, ma verso la libertà e la conoscenza.

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