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La prof mortifica l’alunno chiamandolo “asino”, la Cassazione la condanna

Una professoressa di lettere, secondo i giudici della Suprema Corte, è colpevole di aver offeso un alunno perché ha usato nei suoi confronti termini come “asino”, “bugiardo” e “nullità”. Deve pagare 280 euro di multa.
A cura di Susanna Picone
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Una professoressa di lettere, secondo i giudici della Suprema Corte, è colpevole di aver offeso il suo alunno perché ha usato nei suoi confronti termini come “asino”, “bugiardo” e “nullità”. Deve pagare 280 euro di multa.

I giudici della Corte di Cassazione hanno deciso che mortificare i ragazzi a scuola può eventualmente costare, ai professori, una condanna e dunque valere una multa. È il caso, nello specifico, capitato a una professoressa di lettere calabrese, Teresa F., cui i giudici della Cassazione hanno convalidato una multa di 280 euro per ingiuria, confermando così la decisione presa dal Tribunale di Rossano nel febbraio del 2011. La professoressa in questione è, infatti, colpevole di aver offeso un suo alunno avendolo etichettato con termini come “asino”, “bugiardo”, “nullità” e, inoltre, dicendogli che riusciva ad andare avanti negli studi solo grazie all’interessamento della madre insegnante. Quando l’alunno, dunque, viene mortificato dal proprio professore con dei termini offensivi, quest’ultimo deve pagare.

“Espressioni indicative di volontà offensiva” – I giudici della Suprema Corte hanno fatto specifico riferimento all’epiteto “asino” che – fanno sapere – “in linea di principio, potrebbe riconnettersi a una manifestazione critica sul rendimento del giovane, con finalità correttive” purché non sia però seguito da altre espressioni denigratorie. Ma in questo caso le espressioni usate dalla professoressa sono, secondo la Cassazione, obiettivamente denigratorie e indicative di volontà offensiva.  In tema di ingiuria, hanno dunque stabilito i giudici della Suprema Corte, non sussiste la finalità correttiva ed educativa “quando la valenza mortificatrice dell’espressione offensiva travalichi e ponga in ombra qualsiasi funzione di colloquio e di stimolo che possa derivare dal rapporto pedagogico intercorrente tra le parti”.

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