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Opinioni

La politica cerca un arbitro, al Paese servirebbe un “simbolo”

Napolitano si è dimesso, lasciando istituzioni più solide (diciamo pure blindate) ma una politica mai così divisa, litigiosa e conflittuale. E il clima peggiore per l’elezione del suo successore.
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Le dimissioni di Giorgio Napolitano sono state salutate con sentimenti opposti dalle diverse sensibilità politiche presenti in Parlamento. Da una parte il ringraziamento sentito, il rimpianto e l’ammirazione, dall’altra il giudizio caustico, sprezzante e il biasimo sull’operato di Napolitano; in mezzo indifferenza e sguardo già proiettato al “cosa verrà dopo”. Un clima da stadio, con schiere di tifosi ad accapigliarsi, discutere, dibattere sui meriti e sulle ombre della reggenza di Napolitano al Quirinale.

A rimetterci, ancora una volta, è la politica italiana nel suo complesso, che si ritrova a banalizzare una questione che meriterebbe maggiore cautela, complessità e, diciamolo pure, decenza. Ma tant’è, con le discussioni di queste ore che finiranno per condizionare in maniera sensibile anche la scelta del successore di Giorgio Napolitano. E ora la domanda è "che ne sarà di noi?", come se la scelta del successore di Giorgio Napolitano fosse l'ultimo atto di uno scontro epocale, quasi vitale, in grado di influenzare in un senso o nell'altro la vita democratica del Paese e le stesse esistenze individuali dei cittadini. 

Invece le cose non dovrebbero andare così, in nessun caso. Un grande Paese, una democrazia consolidata, dovrebbe essere in grado di vivere senza traumi e senza contrapposizioni radicali la scelta dell'uomo chiamato a rappresentare l'unità della nazione e a fare da garante nel corretto equilibrio dei poteri repubblicani. E non dovrebbe legare accordicchi, piccoli compromessi, manovrine di palazzo e spartizioni di interessi alla figura simbolo della nazione. 

Si dirà che, in fondo, è sempre andata in questo modo e che spesso la scelta del Presidente della Repubblica è stata mercanteggiata nelle stanze dei bottoni e che nel segreto dell'urna si sono consumati tradimenti, inciuci e spartizioni della peggior specie. Probabile, ma con la differenza che mai si è arrivati a mettere in dubbio la legittimità di elettori ed eletto, mai si è subordinata allo scontro politico la deferenza ed il rispetto verso la prima carica dello Stato, mai si è immaginato di procedere all'elezione di un Presidente della Repubblica già "potenzialmente sfiduciato" da una parte consistente dell'assemblea parlamentare e dello stesso popolo italiano. E, di contro, mai si è arrivati al punto di dover implorare un Capo dello Stato di accettare il secondo mandato per manifesta incapacità dei partiti di trovare un'intesa (peraltro compiendo una forzatura rispetto alle indicazioni della stessa Costituzione), mai sul Parlamento c'è stata una così forte ombra di legittimità costituzionale, mai ci si è trovati in una tale fase di emergenza continua.

Ecco, il punto è che le dimissioni di Napolitano arrivano nel momento in cui si presume "superata" tale emergenza. Una presunzione che si regge sul "consenso" di cui gode il Presidente del Consiglio in carica, dall'avvio del percorso di riforme istituzionali e dalla "ritrovata autorevolezza" in campo europeo. Considerazioni opinabili, dal momento che Renzi non ha affrontato la prova delle politiche, governa con una maggioranza frutto di un compromesso post elettorale, di una scissione (quella del PDL), di un divorzio (di Sel dalla coalizione "Italia Bene Comune") e di acquisti giusti al momento giusto; le riforme istituzionali sono avviate, certo, ma la loro approvazione è subordinata alla tenuta del Patto del Nazareno e, cosa piuttosto pacifica, agli umori e alla "volontà" di Silvio Berlusconi (poi sul fare le riforme a colpi di maggioranza e in tutta fretta ci sarebbe da discutere…); la legge elettorale è un mezzo pastrocchio e non necessariamente al riparo da nuove eccezioni di costituzionalità; il bilancio del semestre europeo è in chiaroscuro, ma cinicamente si potrebbe notare come i dati dell'economia italiana non siano mai stati peggiori; il clima interno al principale partito della maggioranza è incandescente e una scissione non è nemmeno tanto lontana.

Insomma, in questo clima si pretende di scegliere un arbitro, un mediatore che sia insieme garante delle istituzioni. Buona fortuna, ne avrete bisogno. Perché al Paese servirebbe un simbolo, un uomo in grado di assumersi responsabilità ed oneri, non solo di mediare fra piccoli interessi di bottega.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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