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La pizza di New York è un insulto a Napoli?

Farla rettangolare, con i peperoni e servirla a fette vuol dire discostarsi dalla tradizione partenopea? Se l’è chiesto il New York Post e, con loro, l’associazione Vera Pizza Napoletana.
A cura di Redazione
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Alcune pizze di "Forcella", catena Adriani.
Alcune pizze di "Forcella", catena Adriani.

Esiste la pizza, poi qualcuno sa fare (e vuole fare) quella napoletana. Su quanto sia determinante questo aggettivo di provenienza si battono da tempo quei pizzaioli che, detentori o meno della tradizione partenopea, sanno bene quanto sia conveniente, in termini di affari, poter scrivere sulla propria insegna "Napoli". A New York alcuni di questi pizzaioli sono stati riconosciuti dall'Associazione VPN (Vera Pizza Napoletana), che nella Grande Mela ha rilasciato il suo certificato di qualità soltanto a tre locali: Ribalta, La Pizza Fresca Ristorante e Via Tribunali. E proprio lo chef di Ribalta, Pasquale Cozzolino, a condannare la pratica della pizza rettangolare a pezzi, venduta come vero prodotto "napoletano". Nel mirino di Cozzolino si trova Giulio Adriani, nato a Roma e di origini partenopee, che, prima di lavorare nella catena Forcella (tre pizzerie), faceva solo prodotti in linea con i requisiti di VPN. Ora invece, secondo l'accusa di Cozzolino,"sta sfruttando il nome di Napoli: quello che produce non è parte della tradizione. Non potrò mai chiamarlo ‘napoletano' perché io rispetto la storia".

La clientela newyorkese, tuttavia, non sembra disdegnare questa deviazione dai canoni italiani, tanto che, secondo quanto riporta il New York Post, nei weekend Adriani vende tra i 600 e i 700 pezzi di pizza. Del resto, come ha spiegato lui stesso, la decisione di creare questo nuovo formato di pizza da vendere a pezzi deriva da una decisione dell'azienda, che è voluta venire incontro alle necessità del newyorkese, che ha bisogno di pasti veloci e piccoli. Tony D’Aiuto, co-proprietario della pizzeria Luzzo, ribatte: "non penso che l'arte debba essere tiranneggiata dalle ragioni economiche. Vuoi fare un'esperienza newyorkese? Vai da Joe". Ma simili confini nazionali (o municipali, in questo caso) non stanno bene ad Adriani che osserva: "siamo nel ventunesimo secolo, come si può dire che solo i napoletani possono produrre pizza napoletana? Dove è scritto?». Insomma, l'unica cosa che conta "sono l'esperienza, la conoscenza e la passione".

La bega, però, non è solo questione di "botteghe" d'Oltreoceano, dato che nel 2009 l'Unione Europea si è trovata costretta a dover dire cosa sia una vera pizza napoletana. I requisiti minimi, secondo l'UE, sono: uso di farina 00 (senza crusca né germi), acqua di 6-7 PH, lievito compresso o naturale, pomodori San Marzano o di Roma, olio extravergine di oliva, mozzarella di bufala o mucca e basilico fresco. Il resto sarà pure pizza, ma non è stata pensato ai piedi del Vesuvio. Se dunque si volesse individuare la tradizione della pizza di Adriani secondo l'interpretazione dell'UE, vi sarebbe ben poca "napoletanità", dato che è fatta con una manciata di farina di soia e con i peperoni. Ma quella è America e dell'interpretazione europea poco importa.

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