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La nonna squartatrice affetta da schizofrenia paranoide: potrebbe salvarsi dal carcere

Gli esami sono stati condotti dall’équipe medica dell’ospedale psichiatrico Kazan. La donna ha confessato 11 omicidi, quasi tutti atti di cannibalismo e gli inquirenti non riescono a trovare i resti umani delle vittime per poter provare le accuse.
A cura di C. M.
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tamara nonna

Ennesimo capitolo della saga di Tamara Samsonova, la nonna cannibale che ha dichiarato di aver ucciso e mangiato i corpi di 11 sue vittime. La donna, auto-accusatasi di aver ucciso l'amica Valentina Ulanova, 79 anni, avvelenandole l'insalata, è stata sottoposta ad accertamenti medici. La donna, soprannominata dai media internazionali "la nonna cannibale", è conosciuta soprattutto a causa dell'inquietante omicidio commesso tempo fa ai danni dell'amica e ripreso dalle telecamere a circuito chiuso presenti sul luogo del delitto: nelle immagini si vede la Samsonova che recide la testa della Ulanova, la mette in una casseruola per farla bollire prima di iniziare a macellare l'anziana donna e infine gettarne i resti in un cassonetto e in altre zone del condominio in cui viveva.

Stando agli ultimi riscontri degli esami condotti dall'équipe medica del manicomio criminale di Kazan, la donna sarebbe affetta da una patologia chiamata "schizofrenia paranoide", patologia che se dovesse essere ulteriormente confermata porterebbe la donna al ricovero in una struttura psichiatrica accreditata e non alla reclusione in carcere. Le indagini, nonostante le confessioni della Samonsova, si complicano, dunque: se da un lato la nonna cannibale ha dichiarato di essere colpevole di numerosi omicidi, dall'altra gli inquirenti non riescono a trovare indizi e prove che possano sostenere tutte le accuse della reo confessa, Ulanova a parte. Inoltre, ora, aggiungendosi la diagnosi di una patologia psichiatrica cronica ormai acclarata, qualora dovesse essere condannata, la donna non verrebbe reclusa in galera ma avrebbe diritto a essere curata in un'adeguata struttura. "Non sapremo mai la portata della condotta criminale di questa donna", ha dichiarato una fonte anonima vicina agli ambienti investigativi. La donna è stata valutata da un'équipe medica della struttura di Kazan, famosa per essere una "prigione psichiatrica" molto attiva durante il regime staliniano, struttura utilizzata per deportare i prigionieri politici e dissidenti del regime russo.

Di tutti gli omicidi confessati, su numerosi verte il sospetto che possano essersi trattati di episodi di cannibalismo, motivo per cui è difficoltoso poter trovare dei resti umani che possano aiutare gli inquirenti nella raccolta di prove contro la presunta cannibale. Diversi inquilini e persone vicine alla donna sono improvvisamente scomparse, senza lasciare traccia alcuna. Nonostante l'inchiesta rimanga comunque aperta, gli inquirenti temono di non poter però trovare gli indizi che servirebbero a provare tutti e 11 gli omicidi confessati.

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