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La lettera di una vittima di omofobia a Maurizio Sarri: “Caro mister, ha ferito anche me”

Il ventunenne vittima di omofobia a Torino scrive all’allenatore del Calcio Napoli Maurizio Sarri dopo lo scontro con Roberto Mancini: “Le spiego cos’è l’omofobia”.
A cura di Redazione
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Poco meno di un anno fa un ragazzo gay di 21 anni fu pestato selvaggiamente a bordo di un autobus di linea a Torino per il solo fatto di essere stato "riconosciuto" come omosessuale. Oggi, quello stesso giovane affida a Fanpage.it una lettera indirizzata all'allenatore del Calcio Napoli Maurizio Sarri, finito tra le polemiche per gli insulti all'allenatore dell'Inter Roberto Mancini.

Caro mister Sarri,
sono Stefano Sechi, un giovane di 22 anni di Torino. Qualche mese fa, fui avvicinato su un autobus da due ragazzi che, dopo avermi urlato "finocchio" mi presero a pugni.
Non mi fecero male i cazzotti, quel dolore passa. Ma le parole che pronunciarono, urlando, perchè tutti sentissero, perchè tutti sapessero, quelle erano la vera umiliazione.
Ogni giorno in Italia siamo costretti a vivere soprusi, violenze, offese: ma non basta. Non basta che questa società "civile" ci tratti sempre come rifiuti dell'umanità, feccia, gentaglia.
Non basta che dobbiamo scendere in piazza per cercare di vederci riconosciuta un po' di dignità da quelle persone che, come anche lei ha dimostrato essere col suo comportamento, sono convinte di avere una superiorità morale, etica e anche sessuale.
E' arrivato il momento di tornare a pesare le parole. Le parole possono far più male di qualsiasi pugno, e possono uccidere più di qualsiasi arma.
Dopo questa aggressione, ho deciso di mettermi a disposizione per tutte quelle persone che come me sono state vittime di questa piaga sociale, ho anche lanciato un movimento, Omofobiastop, che è anche su facebook, e la invito a seguirlo.
Io ho cercato di dare una svolta alla mia vita, ho cercato di trasformare il vostro odio, in un punto di forza. Ma non tutti hanno la stessa mia sensibilità.
Vorrei prendere d'esempio un ragazzino di 13 anni, che era sbeffeggiato da tutti, veniva chiamato "checchina". Lui, una sera d'inverno, dopo aver visto un film sull'ibernazione, uscì di casa e si sdraiò in mezzo alla neve. Lo trovarono così la mattina dopo, addormentato per sempre. Aveva lasciato un biglietto: "spero di svegliarmi in un Mondo più gentile".
E' per questo che la parola "finocchio" non può più scappare.
So che una volta, nel calcio, gli allenatori venivano chiamati "maestri", perché erano un punto di riferimento per i giocatori, perché davano esempio di vita, perché avevano per tutti la parola giusta.
Lei si sente degno di quel nome?
Io non so fino a che punto si sia pentito, ma una cosa tenevo a dirgliela, mister: non vorrei mai averLa come mio "maestro", ma volevo aggiungere anche che quel pugno me l'ha tirato anche lei. Si senta (almeno un po') colpevole.

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