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La lettera della 17enne Michela dagli States: “Qui la scuola non è stress, è meritocrazia”

La giovanissima Michela Grasso scrive a Fanpage.it per raccontare la sua esperienza di scambio: “Solo uscendo dalla propria comfort zone si capiscono i propri limiti e, cambiando se stessi, si può cambiare il mondo”
A cura di Redazione
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Riceviamo e pubblichiamo

Gentile direttore,

ogni mattina un ragazzo italiano si sveglia e inizia la sua giornata in un paese straniero dove vive e frequenta la scuola. Nel 2016 sono stati 7500 gli studenti tra i 15 e i 17 anni che hanno deciso di lasciare l'Italia per un’avventura nell’ignoto.

A spingermi a intraprendere il mio anno all'estero é stato il bisogno di conoscere: conoscere il mondo, gli altri, il mio paese e me stessa.

Perché é andando fuori dalla propria comfort zone che si imparano a conoscere i propri limiti e le proprie debolezze, ma anche i propri punti di forza e capacità.

É uscendo dall'Italia che l'ho capita, amandola e odiandola ancora più di prima, sentendone la mancanza pur volendo non tornare mai.

Vivere negli Stati Uniti, negli Stati Uniti rurali e contadini non in quelli sule cartoline, dove le persone si affacciano dai grattacieli, mi ha permesso di apprezzare la sanità italiana a disposizione di tutti e la possibilità di andare in università pagando meno di 40,000 dollari l'anno, che per qui non sono molti soldi. Però mi ha anche permesso di riconoscere l’arretratezza della scuola Italiana, dove si é soffocati dalla necessità di imparare e ripetere senza concedersi mai pause, sottoposti a carichi di stress che qui (negli US) sarebbero impensabili.

Ho letto tanti articoli in cui si suggeriva di “lasciare andare via i propri figli” e questo mi fa pensare che in un anno come exchange student, qui in Oregon, sono riuscita a farmi una nuova famiglia, riferendomi a una persona che 9 mesi fa nemmeno conoscevo come “my mom”, e che per loro salutarmi a Giugno sarà come lasciare andare via un membro integrante della loro vita quotidiana con cui é stato condiviso ogni pasto e ogni risata.

Ci sono migliaia di testimonianze online che parlano di quanto sia bello vivere all'estero e io non starò a rimarcare pensieri che più o meno tutti abbiamo già sentito e letto, se ora scrivo é per ricordare a tutti che dal Canada alla Malaysia ci sono centinaia di studenti italiani che hanno fatto un salto nel vuoto, scoprendo che atterrare in un paese nuovo non é per forza sinonimo di farsi male come si tende a credere.

Negli Stati Uniti ho conosciuto un sistema scolastico a me totalmente estraneo, basato su una meritocrazia stretta che premia sempre il migliore, che sia giocare a scacchi o suonare il flauto; ho iniziato a scoprire che studiare non deve per forza significare stare chiusi in casa e che scuola é scuola lo stesso anche con un’ora di sport al giorno.

Sono sempre stata la prima grande critica degli USA, non erano nemmeno il paese in cui volevo trascorrere il mio anno, e invece partire è servito a cancellare ogni mio pregiudizio su migliaia di culture che qua si incontrano, ma soprattutto mi ha permesso di scoprire e analizzare una nazione cosi contraddittoria in questo delicato momento storico: tra cartelli di Trump in giardino e manifestazioni democratiche.

Quando arrivai in Oregon, ad accompagnarmi nella mia nuova casa c'era una signora anziana, non ricordo molto, se non la frase “it’s not right, it’s not wrong, it’s just different” (non é giusto o sbagliato, é solo diverso), e questo é il modo migliore e più delicato per riassumere 10 mesi di crisi, pianti, risa, divertimento, mancanza, trascorsi lontani da casa, in una crescita continua, non solo fisica (come dimostrano i kg in più), ma soprattutto mentale.

Mancano due mesi al mio ritorno e io sono pronta, pronta a dire addio a una casa in cui ho vissuto bellissimi attimi, a una famiglia in cui sono stata amata, a una scuola che mi ha accolta; pronta a tornare dove é tutto iniziato, pronta a tornare diversa, perché solo cambiando sé stessi si può cambiare il mondo.

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