La fotografia dei pronto soccorso: strutture al collasso, in attesa anche più di 2 giorni
Non è la migliore delle fotografie quella sullo stato di salute dei Pronto soccorso italiani scattata dal monitoraggio presentato oggi dal Tribunale per i Diritti del Malato di Cittadinanzattiva e la Società italiana della medicina di emergenza-urgenza (Simeu). Il monitoraggio fotografa 93 strutture di emergenza urgenza; dà voce a 2944 tra pazienti e familiari di pazienti intervistati e misura accessi, ricoveri e tempi di attesa di 88 strutture di emergenza urgenza. Si segnala nei pronto soccorso sovraffollamento, tempi di attesa per il ricovero in reparto che possono superare i due giorni, adeguata attenzione alla terapia del dolore solo in sei strutture su dieci ma con differenze tra regione e regione, oltre a spazi dedicati al malato in fase terminale solo nel 13% delle strutture. La rilevazione è stata svolta tra il 16 maggio e il 30 novembre 2015 attraverso un questionario rivolto a familiari e pazienti ma è stata presentata oggi, nelle ore successive alla lettera alla Lorenzin del figlio di un malato terminale morto senza privacy e assistenza al pronto soccorso del San Camillo di Roma. Tdm e Simeu hanno anche promosso una Carta dei Diritti al Pronto soccorso, che definisce in otto punti i diritti irrinunciabili di tutti i cittadini, pazienti e operatori sanitari.
Situazione differente da regione a regione – Secondo il monitoraggio, oltre 48 ore di attesa per il ricovero si registrano nel 38% dei Dipartimenti di emergenza urgenza (Dea) II livello e nel 20% nei Pronto soccorso, con una attesa fino a 48 ore nel 40% dei Pronto soccorso. L'attesa massima è stata di sette giorni nei reparti Osservazione breve intensiva, nuove strutture previste dal Regolamento sugli Standard qualitativi sull'assistenza ospedaliera. Dal monitoraggio è emerso inoltre che il 30% dei pazienti non ha visto preservarsi privacy e riservatezza, e la procedura di rivalutazione del dolore in tutto il percorso del paziente al pronto soccorso viene svolta da poco più del 60% delle strutture monitorate. Tante le differenze tra regione e regione: ancora oggi la situazione appare molto diversa fra strutture del Nord del Centro e del Sud, “soprattutto come conseguenza di un'organizzazione dei servizi di emergenza non ancora standardizzata sul territorio nazionale”.