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Il clochard arso vivo a Palermo era stato a pranzo a casa dell’assassino

La figlia di Marcello Cimino, il senza fissa dimora bruciato vivo a Palermo: “Mio padre era una persona buona. Lo avevamo sentito con mia sorella ancora la scorsa settimana. E anche questa volta, gli avevamo chiesto di tornare a casa. Ma lui stava bene qui”.
A cura di Davide Falcioni
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"Mio padre era una persona buona. Lo avevamo sentito con mia sorella ancora la scorsa settimana. E anche questa volta, gli avevamo chiesto di tornare a casa. Ma lui stava bene qui". A parlare è la figlia di Marcello Cimino, il senza fissa dimora di 45 anni bruciato vivo due notti fa a Palermo, davanti alla struttura d'accoglienza dove si apprestava a trascorrere la notte. "Papà non meritava questo, chi l'ha ucciso deve fare la stessa fine". Il clochard aveva una casa, in via Vincenzo Barone nel Villaggio Santa Rosalia, ma dopo la separazione dalla moglie – avvenuta tre anni fa – era finito a vivere per strada. Disoccupato e senza risparmi da parte, racimolava quanto necessario per sopravvivere vendendo ferro vecchio e cianfrusaglie, recuperate nei cassonetti della spazzatura, nei marciapiedi del mercato abusivo che nei week-end viene improvvisato tra i vicoli del quartiere Albergheria.

Il terribile delitto è stato commesso da Giuseppe Pecoraro, benzinaio palermitano di 45 anni che, messo sotto torchio dagli investigatori della squadra mobile, ha confessato di aver agito per motivi passionali. "Credeva che Cimino gli insidiasse la moglie", ha riferito il funzionario di polizia Rodolfo Ruperti. Pecoraro e la vittima avevano avuto un acceso alterco qualche giorno prima, nella piazza vicina alla Missione San Francesco dei Cappuccini, dove è avvenuto il delitto. I poliziotti, che erano già sulle tracce del killer, l'hanno trovato in strada non lontano dalla sua abitazione, con la barba appena tagliata e alcune ustioni sulla mano e in altre parti del corpo che tentava maldestramente di nascondere. Di fronte alle contestazioni degli investigatori, che gli chiedevano in particolare l'origine di quelle ustioni, Pecoraro inizialmente ha tentato di giustificarsi dicendo di essersi bruciato "con la macchinetta del caffè". Dopo qualche ora di interrogatorio tuttavia è crollato e ha confessato: "E' vero sono stato io". L'uomo è accusato di omicidio volontario.

Quel giorno killer e vittima erano stati a pranzo insieme, nella casa del Villaggio Santa Rosalia di Pecoraro. Con loro c'era anche la compagna del benzinaio. A riferire questo particolare sono stati i tre sono stati i testimoni sentiti dalla squadra mobile di Rodolfo Ruperti. Lo ha confermato anche Pecoraro durante la sua confessione, messo alle strette dalle immagini del sistema di videosorveglianza della mensa dei poveri San Francesco: "Era stato a casa mia, ci conosciamo tutti alla mensa. Anche i miei genitori lo conoscevano", ha detto. Durante l'interrogatorio ha poi spiegato di aver agito in preda a "un raptus, non lo rifarei. Mi pento. Ero geloso".

Le modalità con le quali Pecoraro ha commesso l'omicidio sono state orrende. L'uomo – con indosso un passamontagna – si è avvicinato al giaciglio in cui viveva Cimino con un secchio bianco pieno di benzina: gli ha gettato addosso il liquido infiammabile poi ha preso un accendino e appiccato il fuoco. Le fiamme hanno subito inghiottito la vittima: Marcello Cimino sarebbe morto nel giro di pochi secondi, arso vivo, mentre la scena veniva ripresa da una telecamera di videosorveglianza allestita a pochi metri dal luogo del delitto. "Ieri mattina abbiamo visto delle immagini drammatiche da Palermo. Non bisogna chiamarlo clochard, era un uomo e bisogna chiamarlo con il suo nome: Marcello Cimino è stato assassinato nel modo piu' barbaro possibile, non c'è nulla di più drammatico di dare fuoco a una persona, e con orgoglio dico che in poche ore la polizia di Palermo ha arrestato e assicurato alla giustizia quel barbaro", ha detto il ministro dell'Interno Marco Minniti.

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