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La diffamazione tramite facebook o altro social network

La Cassazione del 24.03.2014 n. 13604 ammette la diffamazione (595 c.p.) anche tramite scritti o foto pubblicati su profili virtuali o tramite social network, in tali ipotesi il titolare del profilo virtuale può solo provare la violazione del sito privato.
A cura di Paolo Giuliano
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Il reato di ingiuria (ex art. 594 c.p.) e il reato di diffamazione (595 c.p.) tutelano l'immagine di una persona o la reputazione della stessa in una data comunità, le due norme penali reprimono tutte le dichiarazioni (in senso lato), scritti  o altra attività che ledono tale aspetto della vita umana.

Anche se le due norme presentano delle differenze [l'ingiuria presuppone la presenza della persona al momento della lesione dell'immagine o della reputazione, mentre, la diffamazione avviene in assenza delle persona offesa], come già detto, mirano a tutelare lo stesso valore la reputazione di una persona nella società.

Tradizionalmente, l'applicabilità delle due figure è sempre stata legata a strumenti convenzionali di comunicazione, giornali, libri, televisione ecc. e l'offesa (poteva essere scritta o orale), ma con l'avvento di altri strumenti di comunicazioni, ma direi, con l'avvento di altre comunità  "sociali", anche se virtuali, o con l'avvento di altri mezzi di comunicazione di massa (anche se virtuali), occorre valutare se i due reati sono applicabili alle nuove tecnologie.

Per semplicità si può pensare all'ipotesi in cui un dato soggetto scrive sul suo profilo di Facebook (o di altro social network) un commento su una data persona (ma si potrebbe pensare anche alla pubblicazione di una foto "ritoccata" ecc.) Ora, volendo comprendere se è applicabile l'ingiuria o la diffamazione, se si parte dal presupposto che la pubblicazione di un commento lesivo per un'altra persona,  sul proprio profilo virtuale, il cui accesso (contatti) è limitato ai propri "amici", tra i quali non figura la persona offesa, dovrebbe essere semplice affermare che si è in presenza di diffamazione (quanto meno perché al momento della pubblicazione della frase offensiva la persona offesa non era presente né fisicamente né virtualmente), considerazione che dovrebbe essere confermata soprattutto quando la persona offesa non è nei  contatti del profilo virtuale ed il commento non è "pubblico", ma è condiviso solo con ai propri contatti (amici).

Il problema in realtà nasconde un'altra questione giuridica, se la presenza nei contratti integra la presenza "fisica", infatti, per puro scrupolo giuridico, sarebbe interessante analizzare anche la fattispecie in cui  il commento lesivo (oppure, meglio, lo scritto lesivo),  è  effettuato in una chat (o in un servizio di messaggistica istantanea) alla quale è collegata anche la persona offesa, in tale ipotesi,  l'offesa è qualificabile come ingiuria, in quanto la persona offesa è presente (non fisicamente, ma virtualmente) oppure se la fattispecie rientra nella diffamazione, perché per presenza si intende solo la presenza fisica della persona offesa e non virtuale ? Oppure la fattispecie deve essere qualificata, comunque, come diffamazione, perché la chat non è una conversazione tra persone (fisicamente) presenti, ma è un sistema di messaggi tra persone lontane o distanti e, comunque, non presenti.

Questo solo per sottolineare quanto un codice scritto nel 1942, per un sistema di realtà solo concreto e  fisico deve adeguarsi ad una realtà ed ad una tecnologia, come quella del 2014, in cui esistono dei modi di conversazione virtuali e non concreti, ma istantanei tali da poter essere equiparati  (o simulare) la presenza fisica.

Tornando al discorso iniziale, una volta inserita sul  profilo virtuale la frase o la dichiarazione lesiva, il soggetto leso dovrà provare che lo scritto diffamatorio è stato effettuato.

Si tratta di una prova difficile da raggiugere almeno nei casi nei quali la persona diffamata non ha accesso al profilo privato del diffamatore, (cioè non è nei contatti di colui che diffama) in questi casi il soggetto leso dovrebbe fornire dei testi che confermano che su un dato profilo virtuale (non pubblico) di un dato soggetto  è presente una data frase o affermazione lesiva (e,  soprattutto, i testi dovrebbero spiegare come hanno potuto vedere un commento su un profilo virtuale non accessibile a tutti, quindi, non pubblico e salvo non ammette un'intrusione non autorizzata in un sito privato, il teste dovrebbe essere uno dei contatti o "amici" con accesso al profilo virtuale privato) oppure il soggetto leso dovrebbe fornire la copia della pagina web (ma se il profilo è privato solo uno dei contatti potrebbe riuscire a fare una copia della pagine web).

Il motivo per si analizza questo argomento si può comprendere facilmente se si considera che i profili web sono modificabili in ogni tempo. Questo elemento è importante per due questioni, la prima riguarda la prova della diffamazione e, in particolare, occorre riuscire a provare che una determinata frase è stata scritta e con quale esatto contenuto, infatti, le frasi dai profili virtuali possono essere cancellate o modificate, allora, bisogna vedere se il profilo conserva nella memoria tutte le frasi e foto pubblicate e poi rimosse ed eventualmente recuperare tali frasi dalla memoria del profilo (e qui si apre tutta la questione della privacy e della proprietà dei contenuti del profilo virtuale).

Un secondo aspetto riguarda il tempo della presenza della frase o foto lesiva sul profilo, infatti, da un lato il codice penale del 1942 non fa riferimento al tempo della "diffamazione", cioè a quanto tempo l'offesa è "visibile" o leggibile, ma il codice penale si riferisce al numero delle persone che percepiscono la dissacrazione della persona offesa, al contrario, in un sistema virtuale come quello attuale il numero delle persone che percepiscono la diffamazione dipende dal tempo in cui l'offesa è presente sul profilo virtuale di un dato soggetto. Del resto, basta pensare al caso in cui si pubblica su un profilo una frase diffamatoria e dopo pochi secondi questa frase viene rimossa dallo stesso autore può dirsi che c'è stata diffamazione, quando non c'è certezza che qualcuno abbia percepito l'offesa ? (anche se il diffamatore ha 150000 contatti ?) La risposta a questo interrogativo non può essere univoca ma dipende da tipo di profilo, basta pensare alla differenza che c'è tra facebook e twitter.

Ultima  questione,  ma non secondaria,  in ordine alla prova della diffamazione è quella relativa all'identificazione del soggetto che ha diffamato. Questo problema tradotto (o aggiornato) al tempo dei profili virtuali può essere così esposto: siamo sicuri che il titolare del profilo virtuale possa essere sempre considerato l'autore dello scritto apparso sul profilo  o abbia postato quella determinata foto?  In altri termini, siamo sicuri che il profilo virtuale non sia stato "hackerato" da una persona diversa dal titolare ed abbia (all'insaputa del titolare) inserito la frase diffamatoria ? In tali ipotesi (di violazione o forzatura informatica da parte di un soggetto esterno non autorizzato), il titolare del profilo "violato" come può difendersi solo con una perizia tecnica informatica la quale dovrebbe fornire la prova che l'accesso al profilo è stato "forzato",  che l'accesso è stato effettuato da un luogo in cui il titolare del profilo non si trovava  e che ed opera di un soggetto diverso dal titolare del profilo.

Oppure, peggio, cosa accade se un dato soggetto lascia il pc incustodito (con possibilità di "accesso automatico" al proprio profilo) e un terzo soggetto, anche solo per scherzo,  accede al profilo temporaneamente lasciato incustodito e scrive una frase diffamatoria ?  In quest'ultimo caso, il titolare del profilo è penalmente responsabile ? e se a questa domanda si fornisse risposta negativa, il titolare del profilo lasciato (incautamente) incustodito come può provare di aver lasciato "incustodito" (incautamente) il pc e di aver lasciato (incautamente) libero l'accesso al proprio profilo virtuale e come può provare che  un soggetto terzo si è (di fatto) introdotto (contro o senza la volontà del titolare) sul proprio profilo virtuale ?

Cassazione pen. sez. I,  del 24 marzo 2014 n. 13604 in pdf

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Avvocato, Foro di Napoli, specializzazione Sspl conseguita presso l'Università “Federico II”; Mediatore professionista; Autore di numerose pubblicazioni in materia di diritti reali, obbligazioni, contratti, successioni. E' possibile contattarlo scrivendo a diritto@fanpage.it.
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