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La crisi del Parmigiano: “Nessuno lo compra più, produttori a rischio”

Il 2014 è stato l’annus horribilis per uno dei principali simboli del Made in Italy nel mondo. Ma si cerca comunque di andare avanti: “La qualità non si taglia, noi siamo quelli del parmigiano reggiano”.
A cura di Biagio Chiariello
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La crisi dei consumi in Italia, il terremoto in Emilia del maggio 2012 e l’embargo dell’UE alla Russia, tra i maggiori importatori. Una serie di fattori che stanno facendo segnare il periodo più buio per il Parmigiano Reggiano,  uno dei simboli del Made in Italy alimentare. E pensare che il 2014 doveva essere per tutti i produttori del Parmigiano reggiano l’anno della rinascita. È stato invece quello della più pesante crisi del settore, come evidenzia il Corriere della Sera. Sembrava che il sisma di tre anni fa dovesse essere il disastro peggiore. I caseifici si sono rialzati, si sono organizzati, hanno creato scaffali per le forme a prova di scosse. Ma adesso a farli tremare sono i prezzi a picco, come spiega il produttore Fabrizio Bigliardi, responsabile dell’area casearia di Albalat, a Beppe Persichella: “Il Parmigiano reggiano oggi è venduto a poco più di 7 euro al chilo invece che a 9 euro – calcola -. Così è impossibile coprire i costi di produzione. C’è chi è attrezzato e tiene botta. I più piccoli soffrono”. Il commento di Bigliardi è amaro: “C’è chi è attrezzato e tiene botta. I più piccoli soffrono. Per sopravvivere, possono solo associarsi con i più grandi. Chi non ci sta, rischia di scomparire”.

Ma nonostante le difficoltà si prova ad andare avanti, dice un altro produttore di parmigiano, Oriano Caretti: “non si salva nessuno. Di crisi cicliche il nostro settore ne ha viste tante, ma questa è devastante”. La sua azienda, a San Giovanni in Persiceto, è stata una di quelle che ha subito più danni dopo le varie scosse del sisma emiliano. “Abbiamo perso 5 milioni di euro. Aspettiamo i contributi dallo Stato che non abbiamo ancora visto”. Dopo un anno dal sisma, però, gli affari sono ricominciati a girare. “Vendevamo a 9, anche 11 euro al chilo, non come adesso. Dopo la tempesta, il sole era tornato a splendere”. Ma dopo un anno le cose si sono messe di nuovo male: “Con questa crisi economica alcune classi sociali hanno rinunciato a prodotti di pregio come il nostro. In questo modo non c’è spazio per nessuno. Le grandi aziende proveranno a produrre di più e accaparrarsi quote di mercato, ma questo è cannibalismo. Oggi su tre forme, una viene venduta all’estero. Non basta, dobbiamo fare di più, bisogna mirare a nuovi mercati prima che lì arrivino altri”. Produrre un prodotto più economico? Nemmeno per sogno, spiega un altro produttore, Luciano Dotti, de La Cappelletta: “Perché noi siamo quelli del parmigiano e continueremo a fare il parmigiano”.

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