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La coraggiosa apertura di Obama rappresenta la vittoria del popolo cubano

Il merito più evidente del Predidente Usa, ormai a fine mandato, in minoranza alle camere e con poco altro da dire, è stato quello di non abbandonare uno dei suoi propositi del primo mandato.
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La naturalezza con cui il Presidente americano Barack Obama ha annunciato la ripresa dei rapporti diplomatici con Cuba, dopo più di mezzo secolo di embargo e – tra i tanti episodi noti – lo scoppio evitato per una pelo di una guerra termonucleare mondiale, fa tornare alla mente il romanzo di Milan Kundera “Lo Scherzo”, in cui il protagonista, in sintesi s'intende, per uno stupido scherzo si trova catapultato suo malgrado nel baratro più profondo senza poter farci di fatto nulla.

L'apertura del Presidente nordamericano recepita dal suo omologo Raùl Castro giunge, in ogni caso, tutt'altro che a sorpresa e sembra essere il frutto, secondo l'opinione condivisa da molti osservatori della complessa realtà latinoamericana, dopo anni di tentativi di riconciliazione o quanto meno di normalizzazione dei rapporti tra i due paesi. Il punto di maggiore novità, con grande probabilità, è proprio questo: riconoscere che le due nazioni siano tali e, soprattutto, riconoscere che Cuba sia una nazione indipendente dagli Usa e dai suoi interessi. A cessare di esistere, almeno per il momento, è il famigerato emendamento Platt redatto nel lontano 1901 attraverso una risoluzione congiunta con il Congresso degli Usa e che aveva come obiettivo precipuo quello di stabilire le condizioni per il ritiro delle truppe nordamericane rimaste nell'arcipelago caraibico al termine della guerra ispano-americana. Tra i tanti aspetti l'emendamento prevedeva, in estrema sintesi, che: “a) Cuba non può prendere decisioni che possano compromettere la sua indipendenza o consentano a una potenza straniera (ad esempio la Germania) di assumere il controllo dell'isola; b) Cuba si impegna a non incorrere in un indebitamento che superi i propri mezzi (potrebbe provocare un intervento straniero); c) Gli Stati Uniti hanno la facoltà di intervenire al fine di mantenere l'ordine e l'indipendenza cubana; d) Cuba accetta il programma di sanificazione sponsorizzato dagli Stati Uniti (rivolto principalmente contro la febbre gialla); e) Cuba accetta di vendere o affittare agli Stati Uniti siti per basi navali o depositi di combustibile e Guantánamo diviene la principale base statunitense”.

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Tale atto giuridico, così come il successivo appoggio della Casa Bianca al dittatore Fulgencio Batista – protagonista della cosiddetta rivoluzione dei sergenti negli anni '30 –, rappresentava una chiara limitazione della stessa sovranità nazionale cubana e quindi del suo riconoscimento internazionale del suo status di paese libero ed indipendente. La Rivoluzione, organizzata da Fidel Alejandro Castro Ruiz, la perdita del potere dello stesso Batista, la cacciata delle multinazionali dall'isola e la successiva nazionalizzazione delle proprietà (in particolare si pensi alle coltivazioni da canna da zucchero e alle ricche miniere di nichel), hanno fatto sì che il rapporto di subalternità de l'Havana con Washington venisse a terminare bruscamente lasciando una ferita nella storia del continente Americano aperta fino a poche ore fa. La storia è ricca di episodi di scontro e saggezza tra il gigante nordamericano e la piccola isola caraibica, supportata per motivazioni politiche e strategiche dall'Unione Sovietica fino alla sua dissoluzione e poi in seguito dalla Russia, su tutti quello del 1962, momento in cui il mondo tornò sull'orlo di una guerra mondiale, questa volta con la prospettiva macabra di essere combattuta con le testate nucleari intercontinentali. All'epoca, come d'altronde oggi, prevalse il buon senso e la minaccia atomica venne accantonata da un periodo di relativa calma e prosperità soprattutto per l'occidente.

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Oggi, tuttavia, Cuba ha l'opportunità non solo di uscire dall'odioso embargo economico, sociale e culturale in cui è stata fatta sprofondare dalla visione egemone di Washington – che di fatto non poteva accettare di avere tale serpe in seno visto che le coste cubane distano dagli Usa poco meno di 170 chilometri –, ma di poter dimostrare al resto del mondo di poter continuare il suo percorso di crescita e indipendenza iniziato con la Rivoluzione. Senza voler esaltare in alcun modo il regime dittatoriale presente sull'isola dall'insediamento del governo rivoluzionario di Castro, ora il mondo ha l'opportunità di sapere davvero che cosa succede a Cuba. Come nota sul suo blog Gennaro Carotenuto, attento osservatore delle questioni latinoamericane: “Che piaccia o no, la Rivoluzione cubana è così sopravvissuta non solo al fallimento del socialismo reale ma anche a quello del neoliberismo reale, le atrocità del quale, la fame, la violenza, la dissoluzione di parti fondamentali della convivenza civile date dallo stato sociale, sono state risparmiate in questi decenni al popolo cubano. […], la resistenza del popolo cubano in tutti questi anni si è dimostrata essere non ideologica ma rispondente a precise esigenze storiche nazionali. Che piaccia o no, – nonostante in particolare nei primi anni Settanta abbia vissuto periodi opachi – Cuba non è mai stata il gulag tropicale descritto dal modello disinformativo mainstream. In un paese dove circolano liberamente milioni di stranieri non si sopravvive alla crudezza del periodo speciale senza un consenso di massa, che non può essere basato sulla repressione”.

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