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La confisca ed i suoi profili critici

Si tratta di un tema piuttosto complicato, tanto per la presenza di differenti forme di confisca, quanto per la presenza di una normativa, susseguitasi nel tempo, che ha ingarbugliato ulteriormente l’analisi di un istituto – unitariamente inteso – sui quali vi sono ancora numerosi dubbi, specialmente per l’uso/abuso che spesso viene proposto.
A cura di Redazione Diritto
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Questo articolo è a cura del Dott. Francesco Marangolo, laureato in giurisprudenza Federico II, con tesi in procedura penale "la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello". In Italia, l'interesse prevalente è diretto all'ambito penalistico, a Londra collabora con studi anglo italiani e si occupa dei rapporti dei clienti Italiani con la pubblica amministrazione Inglese

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Il polifunzionalismo e la lotta alla criminalità organizzata

Già la Consulta, con le sentt. 29/61 e 46/64, parlava di “polifunzionalismo” della confisca; le diverse tipologie di confisca si differenziano tanto in relazione alla diversa disciplina, quanto per il differente oggetto colpito dal provvedimento. Le stesse S.U. hanno adottato questo riferimento al polifunzionalismo – o anche polimorfismo – in tema di confische, nel 2008 (sent. “fisia impianti”), proprio al fine di ribadire questa vera e propria natura mutevole che l’istituto assume nel nostro ordinamento.

Questa sorta di dichiarata indispensabilità della confisca, è sempre stata collegata alla finalità di contrastare le infiltrazioni della criminilatà organizzata nell’economia lecita. Ma è proprio seguendo il ragionamento di cui sopra che lo strumento in questione inteso in senso tradizionale mostra le proprie lacune: in particolare in relazione ad alcuni elementi cardine della struttura, si pensi al concetto di “profitto”, o alle difficoltà di non riuscire sempre ad identificare il nesso di causalità tra il provento ed il reato di origine – nesso di causalità essenziale per poter predisporre la misura della confisca intesa in senso tradizionale.

Storia dell’istituto

Ma questa criticità è venuta in rilievo ben prima che nell’esperienza nazionale: nella convenzione di Vienna del 1988, ad esempio, in materia di narcotraffico, che prevedeva all’art. 5, comma 7, addirittura l’invito agli stati di introdurre istituti per i quali fosse previsto un’inversione dell’onere della prova, in modo da superare questo pressante problema del nesso di  causalità. Sulla stessa linea la convenzione di Palermo delle nazioni unite del 2000, prevedeva possibili forme di inversione dell’onere della prova in materia di confisca e misure di prevenzione.

Ed entrambe le convenzioni prevedevano già all’epoca uno strumento – oramai da tempo già entrato a far parte del nostro ordinamento – della “confisca per equivalente”: secondo cui in caso di ostacolo a procedere sul provento del reato, l’istituto avrebbe colpito dei beni del valore equivalente appartenenti allo stesso soggetto.

Punto di svolta è la Decisione Quadro 212/2005 – strumento che è stato a lungo la fonte paralegislativa principale di fonte europea – che prevedeva in maniera specifica forme di confisca allargata; concetto fondamentale, questo, perché prevedeva per la prima volta la possibilità non solo di una confisca del provento di un fatto illecito oggetto di condanna, ma anche la possibilità di confisca di beni di sospetta origine illecita – sempre per ovviare alla problematica questione del nesso di causalità in relaziona a specifici reati, ma soprattutto per colpire le risorse della criminalità organizzata, sia al fine di indebolirne la potenza economica sia al fine di ridurre le distorsioni nel mercato.

Eppure la normativa in questione, si caratterizzava per un approccio garantista: si presupponeva una condanna, si circoscriveva l’istituto comunque alla materia del crimine organizzato, la necessità di un pieno convincimento (da parte del giudice che nel patrimonio del soggetto vi fosse non solo il provento del reato ma anche altri bene di dubbia provenienza lecita.

Nel 2014 interviene la direttiva n. 42, la quale sostituisce le norme della 212 del 2005 in materia di confisca allargata – rimane in vigore il vecchio strumento dove non sostituito da direttiva. Questa direttiva prevede una forma di confisca allargata decisamente meno garantista rispetto alle forme precedenti. Non è più richiesto che vi sia un pieno convincimento del giudice (fully convinced), ma la Corte deve essere soddisfatta (satisfied), anche se nella traduzione italiana – per errore o per scelta non è dato saperlo – si parla di semplice “convincimento”; è abbastanza evidente vi sia un conflitto terminologico tra “soddisfatta” e “convinta”.

Normativa italiana

Andando ad analizzare il nostro sistema: si parte dal modello base previsto dall’art. 240 c.p.

Nel caso di condanna, il giudice può ordinare la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto [c.p.p. 676, 733 2, 316 e segg., 321 e segg., 86 disp. att. c.p.p.].

È sempre ordinata la confisca:

  • 1) delle cose che costituiscono il prezzo del reato;
  • 1bis) dei beni e degli strumenti informatici o telematici che risultino essere stati in tutto o in parte utilizzati per la commissione dei reati di cui agli articoli 615 ter, 615 quater, 615 quinquies, 617 bis, 617 ter, 617 quater, art. 617 quinquies del c.p., 617 sexies, 635 bis, 635 ter, 635 quater, 635 quinquies, 640 ter e 640 quinquies.
  • 2) delle cose, la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione e l'alienazione delle quali costituisce reato, anche se non è stata pronunciata condanna.

Le disposizioni della prima parte e dei numeri 1 e 1 bis del capoverso precedente non si applicano se la cosa appartiene a persona estranea al reato (5). La disposizione del numero 1-bis del capoverso precedente si applica anche nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale.

La disposizione del numero 2 non si applica se la cosa appartiene a persona estranea al reato e la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione o l'alienazione possono essere consentiti mediante autorizzazione amministrativa [c.p.p. 676]”.

La confisca nel d.lgs 231

Ma di importanza fondamentale nel nostro ordinamento, è la confisca ex art. 19 del d.lgs 231/2001 – responsabilità degli enti – perché in quell’ipotesi la confisca riguarda il profitto o, in mancanza, si procede con la confisca per equivalente. In entrambi i casi la confisca è individuata come sanzione:

Nei confronti dell'ente è sempre disposta, con la sentenza di condanna, la confisca del prezzo o del profitto del reato, salvo che per la parte che può essere restituita al danneggiato. Sono fatti salvi i diritti acquisiti dai terzi in buona fede.

Quando non è possibile eseguire la confisca a norma del comma 1, la stessa può avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente al prezzo o al profitto del reato”.

La confisca per equivalente

È bene fare alcune precisazioni in tema di confisca per equivalente (o per valore); la nostra giurisprudenza ha chiarito più volte che l’istituto previsto nel nostro ordinamento ha natura di pena, si pensi alla sentenza Napolitano del 2004 in cui si è confermato l’’orientamento che ne definisce il carattere sanzionatorio o la Consulta con la sent. 301/09: la natura di pena deriva dall’imposizione di un provvedimento su beni che siano legittimamente nella disponibilità del soggetto, e soprattutto per la mancanza di nesso tra quei beni ed il reato supposto.

Questo orientamento – senz’altro apprezzabile in termini garantistici, anche se non sempre pienamente convincente – permette comunque – data l’identificazione come pena – l’applicazione degli istituti penalistici e processualpenalistici: a partire dal principio di irretroattività (art. 25 cost.). La definizione della confisca per equivalente come “pena”, ha portato però aanche a degli abusi dello strumento nella prassi. In alcune pronunce – rare, ma presenti – in materia di concorso di persone si è detto che, trattandosi di pena, la stessa può essere applicata a ciascun concorrente, per intero, ad esempio.

La confisca allargata

In tema di confisca allargata, si tratta di una possibilità di confisca in caso di condanna, che era in origine applicata ad alcune fattispecie, per lo più relative al crimine organizzato, nel corso del tempo, però, si è allargato enormemente lo spettro di applicazione dell’istituto (ad esempio ai reati contro la PA).

L’elemento fondamentale è la disponibilità, intesa come disponibilità di fatto – quindi anche se di proprietà di un soggetto terzo ma di cui dispone il soggetto condannato (qui si apre ovviamente la questione di come accogliere e giustificare una misura afflittiva nei confronti di un terzo incolpevole).

Ulteriore – se non principale – punto critico è sul principio di “sproporzione”: ovvero è oggetto di confisca tutto ciò che risulti sproporzionato (altro termine dubbio, di difficile individuazione e soprattutto difficile da porre come presupposto per la confisca).

La SC, seguendo una visione garantista in più di una sentenza, ha sottolineato che il concetto di sproporzione deve essere calcolato al momento dell’acquisto di ogni singolo bene; deve esserci una sorta di ricostruzione storica che faccia riferimento al singolo bene. Solo interpretando in questo modo il concetto di sproporzione non si violerebbe il diritto di difesa, perché non si pone a carico della difesa un onere probatorio abnorme che dovrebbe analizzare tutto il patrimonio del soggetto, ma solo in riferimento a determinati beni individuati come “sproporzionati”.

La confisca e le misure di prevenzione

Passando alle misure di prevenzione: disciplinata ad oggi dall’art. 24 d.lgs 159/11, codice misure di prevenzione ed antimafia. È una forma di confisca molto particolare ed interessante. In primo luogo si distingue per un elemento che abbiamo visto essere essenziale: la sussistenza di una condanna; è sufficiente vi sia stato un giudizio di “pericolosità sociale” del soggetto. Ma il vero problema è che la giurisprudenza più recente indica che è necessario valutare la pericolosità sociale del soggetto anche se non più attuale.

Ci si chiede, allora, se bisogna guardare alla pericolosità sociale del soggetto nel complesso o solo in realzione al reato che ci interessa? Senza dimentica, poi, che spesso si utilizza ai fini del giudizio di pericolosità il concetto di “contiguità”, termine amplissimo: “comportamento al di fuori delle regole della civile convivenza”. In un’espressione del genere è possibile farci entrare di tutto. E, tenendo conto di quelle che possono essere le conseguenze in termini di attività economica di un imprenditore, addirittura in assenza di una condanna, si comprende perché si tratti di un istituto molto temuto.

Dott. Francesco Marangolo

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