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La Cassazione dice “no” al risarcimento per la sindrome Down non diagnosticata

Respinta la richiesta di una coppia di Lucca: la loro bimba è nata con la sindrome di Down perché l’anomalia non era stata diagnosticata, ma la madre aveva già detto che avrebbe abortito se lo avesse saputo in fase di gravidanza. Per questo motivo aveva citato l’Asl. Ora però la Suprema Corte si è opposta alla richiesta di risarcimento: “Nascere sani non è un diritto”.
A cura di Biagio Chiariello
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La Cassazione ha negato il risarcimento per una bambina nata con Sindrome di Down che non era stata diagnosticata durante una gravidanza. Il caso è quello di una coppia di genitori di Lucca che avevano chiesto un risarcimento all’Asl di Lucca e ai primari dei reparti di ginecologia e del laboratorio di analisi perché, a dispetto degli accertamenti effettuati nel periodo di gestazione, la sindrome non era stata scoperta. La madre della piccola aveva detto apertamente che se fosse stata consapevole che la bimba che portava in grembo era affetta da trisomia 21 avrebbe abortito.

La Corte di Cassazione a sezioni unite ha stabilito che “non esiste un diritto a non nascere se non sani” e questo “mette in scacco il concetto stesso di danno” per chi viene al mondo malato. I giudici della Suprema corte  hanno dunque respinto la richiesta di risarcimento per quanto riguarda la bambina, mentre hanno disposto un nuovo approfondimento per il danno psicologico subito invece dalla madre. Ancora, la Cassazione specifica che non esiste il diritto al risarcimento del danno per il bambino nato malato “tanto più che di esso si farebbero interpreti unilaterali i genitori nell'attribuire alla volontà del nascituro il rifiuto di una vita segnata dalla malattia; come tale, indegna di essere vissuta (quasi un corollario estremo del cosiddetto diritto alla felicità)”.

Per la Cassazione, “non sarebbe configurabile un diritto al suicidio tutelabile contro chi cerchi di impedirlo”: nessuna responsabilità avrebbe il soccorritore “che produca lesioni cagionate ad una persona nel salvarla dal pericolo di morte”. L'ordinamento, aggiungono le Sezioni unite, “non riconosce il diritto alla non vita: cosa diversa dal cosiddetto diritto di staccare la spina, che comunque presupporrebbe una manifestazione di volontà ex ante, attraverso il testamento biologico”.

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