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La bufala del reddito minimo garantito

Dietro gli annunci roboanti la vera natura del provvedimento del Governo: nessun reddito minimo, solo un finanziamento di 120 milioni in tre anni al Fondo per la povertà ed un restyling della social card.
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Non è solo una questione di termini, ma di sostanza. Perché se l'annuncio del Governo di un intervento nella direzione del reddito minimo garantito era stato accolto con interesse e speranza, a maggior ragione è stata enorme la delusione nel leggere il vero contenuto della norma. Che prima di tutto non riguarda affatto il "reddito minimo garantito" che, come ricorda un preciso post di Andrea Zitelli su Valigiablu, "è un reddito limitato nel tempo che si basa su un programma universale ma selettivo; la concessione del sussidio, infatti, dipende da regole uguali per tutti; è garantito in base al reddito e al patrimonio di chi ne fa domanda" e costerebbe tra gli 8 ed i 10 miliardi di euro. Nel caso della manovra del Governo Letta invece si tratta di uno stanziamento di 120 milioni di euro per 3 anni al Fondo per la povertà che, come ricorda Ricciardi su Repubblica, è "uno strumento che nel passato ha operato con la vecchia carta acquisti, che si è poi trasformata nella Social Card di tremontiana memoria. Una forma di sostegno criticata in quanto sommaria distribuzione di risorse, che poco aiuta nel concreto le persone bisognose, in particolare quelle che sono piombate nella difficoltà economica a seguito dell'uscita dal mondo del lavoro".

Il capitolo di spesa è stato introdotto accogliendo parzialmente l'emendamento del democratico Verducci che prevedeva "un Fondo di 400 milioni di euro finalizzato al finanziamento della sperimentazione ed il successivo avvio di un programma nazionale di sostegno per l'inclusione attiva volto al superamento della condizione di povertà, all'inserimento e al reinserimento lavorativo e all'inclusione sociale". Risorse che sarebbero dovute arrivare dall'aumento al 22% della tassazione sulle rendite finanziarie (ora al 20%), mentre il Governo ha optato invece per il recupero di 120 milioni dall'aumento progressivo del contributo di solidarietà alle pensioni d'oro. La direzione del provvedimento è quella della sperimentazione del Sia, ovvero il Sostegno per  l'inclusione attiva, messo nero su bianco nel lavoro redatto a giugno da una commissione di esperti incaricata dal ministro Giovannini.

In realtà però il progetto iniziale è radicalmente diverso da quello finanziato dal Governo, sia per modalità che (soprattutto) per risorse messe a disposizione. Il SIA, si legge nel documento, "è una misura nazionale in applicazione del principio che il sostegno al reddito di chi si trova in povertà deve essere garantito a tutti e con le medesime modalità, indipendentemente da dove essi risiedano sul territorio nazionale" (mentre nel testo si parla di "zone urbane", ad esempio), ma soprattutto, continuano gli esperti, "la modalità preferibile di erogazione del beneficio sarebbe il semplice trasferimento", per un costo complessivo monetario "a regime dell’ordine di 7-8 miliardi, che potrebbero ridursi in presenza di una ripresa della crescita economica che riduca i livelli di povertà attualmente raggiunti".

Ma attenzione, perché se anche si riuscissero a mettere sul piatto questi 7 – 8 miliardi di euro, si raggiungerebbe "circa il 6% delle famiglie del paese". Quella invece approvata al Senato è una semplice aggiunta al fondo per la povertà, una mancia o un passaggio intermedio a seconda delle valutazioni, che servirà ad aumentare la dotazione della nuova Social Card. Ma il reddito minimo è un'altra cosa, sarebbe il caso di ribadirlo.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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