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Opinioni

La Bce calma i mercati finanziari in vista del referendum

La Bce sembra pronta a stendere una rete di sicurezza anche nel caso di una vittoria del “no” al referendum di domenica e di dimisioni del governo Renzi. Così gli investitori tornano a sperare che la lenta ristrutturazione delle banche italiane possa giungere a buon fine…
A cura di Luca Spoldi
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La Bce è pronta a stendere una rete di protezione, la prossima settimana, a favore dei Btp italiani, tenendosi pronta a incrementare gli acquisti di titoli italiani sul mercato nel caso che un esito negativo del referendum facesse scattare cadere le quotazioni e schizzare al rialzo rendimento e spread.

L’indiscrezione, non smentita, fa bene non solo ai Btp stessi, che stasera vedono il decennale guida chiudere con un rendimento dell’1,95% e uno spread dell’1,73% contro i Bund tedeschi, ma anche se non soprattutto al comparto bancario italiano, che in borsa fa scintille con Mps che vola letteralmente e dopo aver perso ieri oltre 13 punti termina oggi in rialzo di oltre il 17% a 20,25 euro per azione (da ricordare che da lunedì il titolo quota post raggruppamento di 100 vecchi titoli in una nuova azione).

La sensazione è che il mercato abbia in qualche modo già “scaricato” Matteo Renzi e il suo governo e sia convinto che anche le autorità europee, Bce in testa, non lo ritengano più indispensabile a garantire la governabilità del paese. Morto un papa, dice il proverbio, se ne fa sempre un altro e per i premier non è diverso.

Tanto più che secondo Barclays a seconda del risultato (sì o no) e dell’affluenza (sotto o sopra il 40% degli aventi diritto al voto) si profilano scenari che vanno da un nuovo governo guidato da un soggetto diverso da Renzi (si sono già fatti e in parte bruciati i nomi di Pier Carlo Padoan, del presidente del Senato, Grasso, e di Graziano Del Rio), nel caso di un “no” con alta affluenza, ad una permanenza in carica di Renzi nel caso opposto (sì con alta affluenza).

Poco sembra importare, tutto sommato, ai mercati del tema collegato che sta invece a cuore al mondo della politica, ossia la legge elettorale. Che subisca poche o molte modifiche pare certo che non sarà l’Italicum la legge con cui si andrà a votare, la prossima primavera-estate o a fine legislatura nel 2018.

In ogni caso è verosimile per gli analisti di Barclays che, nel caso di vittoria del no, “la legge elettorale venga modificata verso un modello che rafforzi la rappresentanza sociale”, con l’eliminazione del secondo turno di ballottaggio su base maggioritaria, cos che il “rischio che forze anti-sistema (M5S e Lega Nord, ndr) arrivino al potere, alla guida di un governo monocolore, non sarebbe del tutto rimossa, ma sarebbe significativamente ridotta”.

Tanto basta agli investitori per tornare a sperare che lo stretto sentiero imboccato dalle banche italiane (dal cui risanamento dipende in ultima analisi la possibilità di risollevarsi dell’intero sistema economico italiano), fatto di aumenti di capitale e parallele cessioni a prezzi più o meno da saldo di crediti deteriorati (Npl) e attività “non strategiche”, possa condurre ad un esito positivo, a partire da Mps.

La banca senese questa settimana attende di vedere quanti obbligazionisti subordinati convertiranno i propri bond in azioni e dopo il referendum spera di vedere fondi sovrani come Qatar Investment Authority e fondi hedge americani e inglesi sottoscrivere a loro volta una parte consistente dell’aumento, così da ridurre il più possibile i 5 miliardi di euro (necessari a compensare le perdite legate alla cessione dell’intero portafoglio di sofferenze da 27,7 miliardi), altrimenti destinati a dover essere cercati sul mercato degli investitori retail.

La schiarita sui mercati sembra giungere ad hoc anche per Unicredit, che nel frattempo avrebbe individuato e invitato 10 istituti bancari a far parte del consorzio di collocamento per il suo aumento di capitale, da 10-13 miliardi, destinato pare ad essere lanciato a febbraio. Il pool di banche sarebbe formato da Bank of America Merrill Lynch, Jp Morgan, Mediobanca, Morgan Stanley e Ubs nel ruolo di joint global coordinator (cui solitamente spettano le percentuali maggiori di sottoscrizione), mentre Citibank, Credit Suisse, Deutsche Bank, Goldman Sachs e Hsbc sarebbero state contattate per diventare co-global coordinator.

Prima di febbraio, forse già entro fine anno, il Ceo di Unicredit, Jean Pierre Mustier, che il 13 dicembre svelerà le linee guida del nuovo piano strategico, dovrebbe definire le cessioni di Bank Pekao e Pioneer Asset Management. Per la prima si starebbe trattando per arrivare a cedere il 20% a Pzu (assicuratore di cui lo stato polacco è azionista di riferimento col 34,2%) e il 13% a Pzu, di cui lo stato polacco è azionista di riferimento col 34,2%, in due distinte operazioni così da evitare l’obbligo di Opa.

Al gruppo italiano andrebbero 2,6 miliardi di euro in tutto e rimarrebbe una piccola quota del 7%, sufficiente un domani per decider se fare definitivamente cassa o provare a tessere nuovi rapporti strategici. Per Pioneer Asset Management sarebbe il gruppo francese Amundi in vantaggio sulla cordata italiana Poste Italiane-Anima-Cdp e sull’australiana Macquarie avendo fatto, pare, l’offerta più alta (si ipotizza una cifra tra i 3,5 e i 4 miliardi).

Se tutto andrà come auspicato Mustier raccoglierebbe con le due cessioni quasi 6 miliardi di euro e l’aumento a quel punto potrebbe limitarsi a 10  miliardi, accompagnati da cartolarizzazioni di Npl per 20 miliardi. Tra l’aumento di Mps e quello di Unicredit anche Banca Carige dovrebbe riuscire a collocare la prima tranche di Npl cartolarizzati per 1-1,5 miliardi di euro, poi in primavera potrebbe partire l’aumento di capitale prima di procedere ad ulteriori cartolarizzazioni come richiesto dalla Bce.

A quel punto, schivando eventuali elezioni anticipate, resterebbero da sistemare “solo” le quattro good bank (tre delle quali dovrebbero finire a Ubi Banca) e le due popolari venete (BpVi e Veneto Banca), previo ulteriore rafforzamento del fondo Atlante, cui mancherà l’apporto di Generali, che ha preferito convertire i suoi bond Mps in azioni e che a fine aumento dovrebbe risultare il primo socio di Siena con una quota del 7%-9%, davanti al Tesoro col 4% e ad Axa col 3,17%.

Si potrebbe profilare un asse a tre in salsa francese, che secondo alcuni anticiperebbe, di nuovo, un analogo finale di partita in casa Unicredit (dove l’ipotesi di un matrimonio con Societe Generale è tornata più volte alla ribalta, per quanto ogni volta puntualmente smentita). Ma questo davvero è tutta un’altra storia, anche se non completamente slegata dagli esiti del referendum di domenica prossima e dall’azione che sarà portata avanti dalla Bce.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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