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La bambina nel pozzo: l’omicidio di Annarella Bracci

Sul fondo di un pozzo nella zona delle ‘nebbie’, nella profonda periferia di Roma, il 18 febbraio 1950 viene trovato il piccolo corpo di una bambina. Annarella Bracci è stata gettata nella cisterna ancora viva, dopo che il suo aggressore aveva cercato di violentarla e poi l’aveva seviziata. Il delitto di Primavalle resta uno dei crimini più atroci del Dopoguerra, ancora oggi, senza un colpevole.
A cura di Angela Marino
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A tredici anni Annamaria Bracci, da tutti chiamata ‘Annarella’ sapeva già molto della vita. Nel 1950, pochi mesi dopo che suo padre aveva lasciato la famiglia portandosi via i due fratellini più piccoli, badava già alla casa. Sua madre Marta non se ne occupava. Dopo che il marito se n’era andato si era data alla strada, ma per poche lire riceveva gli uomini anche a casa, sotto gli occhi della figlia, che presto o tardi avrebbe voluto avviare verso lo stesso destino. Annarella, però, preferiva guadagnarsi qualche soldo facendo piccole commissioni per i vicini e stare lontana da casa più tempo possibile, anche per evitare suo fratello Mariano, il maggiore, afflitto da una menomazione fisica alla gamba, un ragazzo iracondo e violento.

La storia di Annarella Bracci

Ad Annarella piaceva frequentare le feste da ballo che si tenevano in piazza, anche se all’epoca, Primavalle, periferia romana dove i Bracci abitavano, non era esattamente una zona per ragazzine. Nel dopoguerra c’era solo un nugolo di case popolari e scantinati, non c’erano mezzi pubblici e le fogne erano a cielo aperto. Un ghetto rimasto spaventosamente fuori dal processo di urbanizzazione che nel secondo cinquantennio del Novecento stava investendo tutta la capitale. Annamaria sapeva gestire anche quello, occupandosi di tutto. Per questo, quella sera di febbraio sfidò il freddo per andare a compare l'olio e il carbone per metter su la cena, solo che a casa non tornò più. In borgata cominciarono a cercare la ragazzina dagli occhi dolci e tristi. Un ricco barone colpito dalla vicenda promise una ricompensa di 300mila lire per chi avesse ritrovato la bambina.

Sepolta nelle ‘Nebbie'

La polizia batté palmo a palmo la zona, interrogando tutti, ma nessuno aveva visto niente. Fu il nonno paterno di Annarella a imprimere una svolta decisiva alle indagini: "Ho sognato la bambina, è in un pozzo". Condusse gli agenti alle tre vicine cisterne della zona: lì, in località ‘Le Nebbie', a 17 metri di profondità, nell'acqua, apparve un piccolo corpo. Quando i pompieri lo tirarono su identificano con certezza il viso delicato di Annamaria Bracci, 13 anni per sempre. La piccola aveva subìto un autentico martirio, aveva il cranio fracassato, ferite sul corpo, ma non aveva subito violenza sessuale. Eppure non aveva indosso le mutandine, anzi: l'indumento ere stato consegnato alla polizia, giorni prima da Mariano Bracci, il fratello maggiore. Ci si sarebbe imbattuto poco lontano dalla zona del ritrovamento. Annarella, confermerà l'autopsia, era ancora viva quando era stata gettata nel pozzo.

Una famiglia oscura

L'attenzione della Polizia si concentrò immediatamente sulla famiglia Bracci. Su quel nonno, che dopo aver segnalato – grazie a un provvidenziale presagio – il luogo in cui era stato gettato il corpo della nipote, poi intascava la ricompensa, salvo perderla tutta insieme per un investimento avventato. Su quel fratello, che chi sa come aveva ritrovato le mutandine della piccola e le aveva consegnate; su quella madre, che non aveva un alibi e che non si era data mai la pena di cercare sua figlia dal giorno della scomparsa. Marta Fiocchi non era in buoni rapporti con Annamaria da quando questa aveva testimoniato contro di lei dopo la denuncia di adulterio da parte del marito. Appena tre giorni prima dell'omicidio, una coincidenza significativa. Gli inquirenti sospettarono che potesse essere stato tale Moroni, amante della Fiocchi, a uccidere brutalmente la piccola e a gettarla nel pozzo. Quella famiglia annichilita dal degrado e dall'ignoranza non convinse mai del tutto gli investigatori. Moroni però aveva un alibi, sua moglie era pronta a giurare che fosse stato con lei tutta la notte del 18 febbraio.

Lionello Egidi, colpevole a ogni costo

Le indagini giravano a vuoto, uno smacco insopportabile per la Mobile di Roma che da prima del Ventennio fascista non si lasciava sfuggire un criminale. Poi la strada sembrò spianarsi: all'orizzonte spuntò la figura di Lionello Egidi. Bracciante, di estrazione sociale umilissima, tanto che viveva negli scantinati della famiglia Bracci, aveva a suo carico delle denunce da parte di ragazzine dell'età di Annarella, che avrebbe molestato: il colpevole ‘perfetto'. (l'articolo continua dopo la foto)

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Venne arrestato e agli agenti apparve subito chiaro che ‘il biondino' come lo chiamavano nel quartiere, era incapace di qualunque strategia. La moglie aveva confermato il suo alibi, ma torchiandolo, forse, avrebbe detto la verità. Lo fece. "Ho cercato di avere con Annarella un rapporto sessuale, mi ha respinto e l'ho uccisa". Secondo il suo racconto l'avrebbe incontrata quando era uscita a comprare olio e carbone – che infatti vengono ritrovati intatti accanto al pozzo – e l'aveva aggredita con un bastone chiodato trovato sulla strada.

La rivolta popolare contro l'arresto

Il mostro era stato stato preso, ma solo per la polizia. Primavalle si ribellò a quella condanna, nonostante la fama di Egidi, nonostante i suoi precedenti. I romani di borgata sapevano come la polizia convinceva i criminali a confessare: a suon di botte. Forte del sostegno popolare, Egidi ritrattò la confessione: "Mi hanno torturato con il sale, costretto a bere acqua fino a scoppiare e mi hanno picchiato". Insomma, metodi anteguerra che in quel periodo ancora non erano stati banditi dalla polizia, soprattutto quando la stampa invocava un colpevole.

Mostro o martire?

Egidi venne assolto per ‘insufficienza di prove'. Durante il processo di appello, però, un’altra ragazzina denunciò di essere stata molestata da lui a una festa campestre. A quel punto scattò la condanna a 26 anni per l'omicidio di Annamaria e a 3 per le molestie, che nel gennaio 1957 la Cassazione annullò. Fine della storia? Ancora no. Nel gennaio 1961 esplose un altro caso Egidi. Il biondino è di nuovo imputato in un processo per reati di natura sessuale, ma questa volta la vittima è un bambino. Il ‘biondino' aveva adescato il piccolo sulla panchina davanti alla scuola. Viene condannato a 8 anni di carcere. Li sconterà, professandosi innocente e uscendo dal carcere ormai ombra di se stesso, per finire i suoi giorni guadagnandosi qualche soldo come parcheggiatore. Non tornerà a Primavalle, dove c'era chi lo considerava un mostro e chi, invece, la sfortunata vittima di un distorto sistema giudiziario, tanto più innocente perché tratto a forza dalle ultime schiere degli strati sociali: gli ultimi, i derelitti.

Dopo la morte di Annarella la sua storia è stata dimenticata: troppe domande senza risposte, troppe ferite che la verità non ha mai cauterizzato. Di lei resta quell'unica foto dall'espressione dolcissima sui quei tratti di bambina. La bambina che non ha mai avuto un'infanzia.

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Giornalista dal 2012, scrittrice. Per Fanpage.it mi occupo di cronaca nera nazionale. Ho lavorato al Corriere del Mezzogiorno e in alcuni quotidiani online occupandomi sempre di cronaca. Nel 2014, per Round Robin editore ho scritto il libro reportage sulle ecomafie, ‘C’era una volta il re Fiamma’.
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