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L’Ue boccia i marchi che inneggiano alla Mafia: ma il brand spopola in tutto il mondo

Su un ricorso presentato da Coldiretti, l’Europa ha imposto ad una catena di ristoranti spagnola, il cambio del nome dei loghi che sfruttano l’organizzazione criminale più famosa come fosse un fenomeno di folklore associato a valori culturali. Tuttavia, nel mondo ci sono ancora troppe ‘etichette’ sull’Italia, in un contesto in cui contraffazione e falsificazione dei prodotti agroalimentari nostrani hanno superato i 60 miliardi di euro.
A cura di Biagio Chiariello
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La mafia crea empleo” (la mafia crea lavoro), è l’esecrabile slogan, già ben conosciuto non solo in Italia, che usano in Spagna per motivare l’associazione tra il business e una delle parole più tristemente affascinanti nell’immaginario collettivo internazionale sull’Italia. Il fenomeno però è mondiale. Dal caffè "Mafiozzo" stile italiano della Bulgaria agli snack "Chilli Mafia" della Gran Bretagna, dalle spezie "Palermo Mafia shooting" della Germania fino alla salsa "SauceMaffia" per le patatine e quella "SauceMaffioso" per la pasta  a Bruxelles, capitale d'Europa, sono tra i casi in cui si fa affari sfruttando a tavola gli episodi, i personaggi e le forme di criminalità organizzata più amare e sgradevoli, a danno dei veri prodotti agroalimentari Made in Italy. E se il discorso va a toccare pure  ristoranti e pizzerie, l’abuso della parola ‘Mafia’ diventa incontrollabile: basti pensare al gruppo “La Mafia Franchises”, società  spagnola di Saragozza che in quasi dieci anni ha aperto oltre trenta ristoranti (il nome della catena è esemplificativo: “La Mafia se sienta a la mesa”, ‘La Mafia si siede a tavola’), dove, ovviamente si servono i “principali piatti della tradizione culinaria italiana”.  Se si prova a leggere il messaggio commerciale della società viene quanto meno da scuotere la testa: “Da buoni mafiosi siamo convinti che la famiglia sia la cosa più importante. Con loro vogliamo condividere la gioia di un buon pasto in un ambiente gradevole e famigliare, perché ci siamo impegnati a ricreare la tradizionale cucina mafiosa”.

La battaglia della Coldiretti

Ma ora le cose stanno cambiando. La Coldiretti, infatti, ha vinto la prima battaglia della guerra che sta conducendo contro la proliferazione di prodotti e locali che richiamano la mafia. Secondo quanto reso noto dalla stessa Coldiretti Sicilia, è stato l'ufficio Marchi e disegni dell'Ue ad “annullare il contrassegno numero 5510921, accogliendo il ricorso dell'Italia per l'invalidità del marchio”. Stop dunque ai marchi che contengono le parole ‘mafia’ o altri che inneggiano alla criminalità. “Si tratta di una vergognosa strumentalizzazione di un marchio negativo non solo per l’isola ma anche per l’Italia” commenta Coldiretti Sicilia. Inutile dire che la catena di ristorazione spagnola ha presentato ricorso. Del resto ‘La mafia crea empleo’ e il gruppo “La Mafia Franchises” dà lavoro ad oltre quattrocento persone sfruttando i personaggi più evocativi dell’universo mafioso: Michael Corleone, Lucky Luciano, Al Capone e Don Vito Corleone, senza dimenticare Calogero Vizzini, in arte Don Calò. Personaggi diventati idoli grazie a film e serie tv. Mitizzati con gli anni grazie a pellicole quali Il Padrino, Scarface e C’era Una Volta In America. Ma nel veicolare in chiave culinaria il fascino oscuro della più antica organizzazione criminale al mondo si dimentica l’espressione più violenta e feroce della mafia, quella delle stragi, delle morti, del terrore.

I numeri

“Qui parliamo di un marchio di successo che dà lavoro e produce ricchezza in un momento così difficile per la Spagna, per questo chiediamo rispetto per la nostra azienda” aveva detto Pablo Martínez Escolar, il direttore marketing e comunicazione del gruppo, in un’intervista a L’Espresso di qualche tempo fa. Eh sì che la questione è tutta economica. Ma in tal senso viene da pensare che, oltre al danno di immagine per il nostro Paese, c’è da considerare pure la beffa dello sfruttamento economico del Made in Italy, in un contesto in cui contraffazione e falsificazione dei prodotti agroalimentari italiani hanno superato i 60 miliardi di euro. Un danno pari a quasi il doppio delle esportazioni, che – secondo un'analisi di Coldiretti – costa all'Italia 300mila posti di lavoro.

Una provocazione

Viene da chiedersi se qui in Italia aprissimo una catena di ristorazione ribattezzandola ETA (l’organizzazione criminale più temuta in Spagna che in quarant’anni ha fatto quasi 900 morti, tra agenti di polizia o militari e civili) che cosa ne penserebbe il premier Mariano Rajoy o il Re Filippo VI? “La mafia è il sinonimo internazionale per indicare un’organizzazione clandestina e parassitaria del territorio. Un termine che è riconosciuto in tutto il mondo come tale, dal Giappone agli Stati Uniti. Mentre nel caso dell’Eta, si sa che ci riferiamo a un’organizzazione terroristica effettiva della Spagna. Ma, ripeto, non è mai stata nostra volontà offendere gli italiani. Ci siamo ispirati soltanto a un ricettario” si era difeso Escolar.

Italia vs. il marchio ‘mafia' dal 1984

E pensare che già nel 1984, Claudio Fava, vicepresidente della Commissione antimafia e figlio del giornalista Pippo, che proprio da Cosa Nostra fu ucciso, aveva presentato un’interrogazione parlamentare, chiedendo al governo d’intervenire affinché le autorità iberiche intervenissero per la modifica del nome della catena. Ma le autorità spagnole hanno sempre spiegato che “la loro normativa non consente di intervenire, in quanto non viene ravvisato un collegamento diretto tra il termine mafia e la Repubblica italiana ma indicherebbe una generica organizzazione criminale dedita al raggiungimento dei propri interessi. E per queste ragioni il nome della catena dei ristoranti non violerebbe la normativa spagnola sui marchi”. Ora però forse le cose stanno per cambiare.

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