93 CONDIVISIONI

Il Pop Nap Sound è morto. Anzi: non è mai esistito

Raffaello nei primi anni del Duemila è stato protagonista di una nuova stagione musicale napoletana, il Pop Nap Sound, con la quale si è tentato di affrancare la scena neomelodica dallo stereotipo della musica di malavita. A dieci anni di distanza ci rendiamo conto che si era trattato solo di un bluff per camuffare appartenenze e ambienti sempre immutabilmente uguali a se stessi.
A cura di Marcello Ravveduto
93 CONDIVISIONI
Raffaello Migliaccio.
Raffaello Migliaccio.

Era una giornata afosa d’una decina d’anni fa. Piazza del Plebiscito pareva una padella infuocata. Da via Cesario Console salivano due ragazzine “pittatissime” che non avevano più di quattordici anni a testa. Pance scoperte, pelle abbronzata e top di puro acrilico con colori sgargianti. Camminavano mano nella mano cantando a squarciagola:

battiti nel cuore
non l'avevi fatto mai,
non fermati dai
stringimi di più.
Sembra di volare insieme
sotto un celo blu

Gli anziani le osservavano straniti, gli altri, giovani e adulti, le guardavano con un sorriso malizioso. Le “lucianelle” stavano interpretando a modo loro “Scivola quel jeans”, la famosa hit di Raffaello. All’epoca il cantante era un diciottenne pieno di speranza. I suoi occhi verdi facevano impazzire ‘e guagliuncelle dei quartieri, dal centro alla periferia.

Raffaele Migliaccio, classe 1987, con il suo look da playboy televisivo sembrava aver rinnovato la scena neomelodica con il Pop Nap Sound, come teneva a sottolineare l’etichetta discografica (Synfonica Records) che lo aveva lanciato. L’idea in fondo era semplice: promuovere una nuova leva di autori, compositori e cantanti vernacolari capaci di interpretare musicalmente gli stili di vita e i gusti dei giovani del Duemila. Era la riproposizione in chiave globalizzata dello schema che aveva consentito a Nino D’Angelo, negli anni Ottanta, di occupare il vuoto lasciato dalla canzone classica e dalla sceneggiata napoletana.

La new wave si fondava sua una scuderia di cantanti giovanissimi, vestiti da divi secondo i dettami della moda borgatara, che cantavano musiche ballabili e orecchiabili – ritmi latino americani, hip hop, house, funky e persino disco dance – con storie tratte dalla realtà quotidiana in cui il pubblico della metropoli e dell’hinterland poteva facilmente riconoscersi. Un espediente per mettere da parte lo stigma del genere neomelodico, la cui fama di musica della camorra impediva a molti interpreti, anche dotati vocalmente, di fare il balzo verso il palcoscenico nazionale.

Sembrava ci fossero tutti i presupposti per avviare una stagione di riscatto della musica napoletana grazie al “mucchio selvaggio postmelò”, alla cui guida si ponevano Raffaello, Alessio, Vincenzino junior, Diego De Luca, Fabio Cozzolino, che cercavano di colmare il buco generazionale apertosi dopo il successo di Gigi D’Alessio, e la ricerca d’una nuova identità da parte dei suoi compagni di cordata (Maria Nazionale, Franco Ricciardi, Ida Rendano, Stefania Lay, Sergio Donati, Luciano Caldore, Valentina Ok).

All’inizio l’innovazione diede i suoi frutti. I ragazzi del Pop Nap Sound venivano chiamati in televisione sulle reti nazionali ostentando sicurezza e reclamando attenzione per le loro canzoni d’amore e di sofferenza. Raffaello si faceva bello su Rai due in una puntata serale di Scalo 76, mentre Alessio troneggiava sugli schermi di Mtv, seguito da Pif, durante un episodio de “Il Testimone”. A mettere la ciliegina sulla torta era La Pina a Radio Deejay che li lusingava definendoli i più genuini esponenti dell’hip hop italiano.

Il successo parve entrare dalla porta principale quando la canzone di Raffaello “La nostra storia”, a oggi oltre un milione di visualizzazioni su YouTube, finì nella colonna sonora di «Gomorra». In seguito, si è scoperto che Garrone e i produttori del film hanno inseguito a lungo l’autore del testo, Rosario Armani, alias Rosario Buccino, perché latitante.

“Scivola quel jeans” viene considerata la canzone capostipite del Pop Nap Sound. Se la cercate su Youtube troverete, oltre quello ufficiale, diciannove video (con un paio di fake) tra cui uno in formato karaoke, un paio dal vivo durante un concerto (a Brusciano e ad Afragola) e un altro in versione remix con arrangiamento tecno-house. I diciannove video tutt’insieme totalizzano 3.130.152 visualizzazioni.

Proviamo a fare un confronto tra “Nu jeans e ‘na maglietta” e “Scivola quel jeans”. La prima sostanziale differenza riguarda i cantanti: nel prima caso l’interprete è anche autore del testo. Si potrebbe obiettare, però, che nel mondo della musica napoletana la voce ha una valenza uguale, se non superiore, a quella dell’autore e che nella società dei mezzi di comunicazione di massa oltre alle qualità canore conta l’immagine. Non rimane, allora, che confrontare i due testi.

Nino D’angelo insiste per avere un bacio dalla ragazza in jeans e maglietta di cui è innamorato. Più è ritrosa e capricciosa più la sua smania aumenta: “Tu non capisci il male che mi fai! Ti prego, dammi questa bocca. Vieni a stringermi le mani e scriviamo insieme questo romanzo d’amore”.

https://www.youtube.com/watch?v=FKSPB0jFidI

Raffaello, invece, prima convince la fidanzatina a togliersi il jeans, poi si eccita con i suoi sospiri sul collo ed infine è impaziente di fare l’amore una seconda volta. La ragazza ha un sussulto di pudore e vorrebbe rivestirsi ma il “galletto” napoletano è implacabile: è una sciocca perché tanti ragazzi alla loro età hanno già fatto sesso.

La storia d’amore di “Nu jeans e ‘na maglietta”, fatta di smorfie e mossettine, si è trasformata nel primo amplesso di due adolescenti. Nel lasso di tempo che intercorre tra le due canzoni (1982-2005) si può notare come i giovani usino ancora i jeans: negli anni Ottanta si indossano, nel Duemila scivolano via. Non voglio fare del becero moralismo ma è evidente che, mentre il pubblico di Nino D’Angelo leggeva Tex Willer o Cioè e vedeva Fantastico o Drive in, i fans di Raffaello sono cresciuti guardando Uomini & Donne, Amici e il Grande Fratello, smanettando nelle chat del web 1.0 e postando selfies nell’era dei social network.

Oggi, dopo le disavventure giudiziarie di Raffaele Migliaccio, che mostrano il lato violento di una certa gioventù metropolitana (abituata a far valere la legge del denaro – tipica dei parvenu – piuttosto che le qualità umane), e il mancato decollo di Alessio, con il fallito tentativo di conquistare il pubblico melodico italiano, pur cantando in lingua (l’unica sua vera esibizione nazional popolare la si deve all’apparizione nella fiction “Gomorra”), si può dire che il Pop Nap Sound è morto.

In realtà, non è mai nato, era un “pezzotto”: serviva a camuffare la realtà neomelodica che è riemersa, con tutta la forza dei suoi ambienti e delle sue appartenenze, appena è caduta la maschera della commedia dell’arte glocale.

93 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views