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L’inciviltà di un Paese che costringe all’esilio i malati terminali

Così come Dominique Velati, anche Fabiano Antoniani, conosciuto come Dj Fabo, ha deciso di morire in Svizzera per poter essere libero di porre fine alle proprie atroci sofferenze. Da oltre dieci anni, l’Italia ciclicamente torna a dibattere di eutanasia senza mai arrivare a sancire per legge il diritto e costringe all’esilio i malati terminali che disperatamente cercano la possibilità di ottenere una fine dignitosa.
A cura di Charlotte Matteini
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dj Fabo
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Dopo settimane di continui appelli caduti nel vuoto, Dj Fabo, al secolo Fabiano Antoniani, ha deciso di andare in Svizzera per poter essere libero di morire. Divenuto cieco e tetraplegico in seguito a un incidente stradale avvenuto circa due anni fa, Fabiano ha più volte espresso il desiderio di morire e ha rivolto molteplici appelli al presidente della Repubblica Mattarella e all'intera classe politica affinché sbloccassero finalmente l'iter parlamentare della legge sull'eutanasia, in stallo dallo scorso marzo. A nulla sono serviti i suoi video e le sue parole, l'appello non è mai stato seriamente preso in considerazione, spingendo il ragazzo ad andare in esilio in Svizzera per poter porre fine alle sue sofferenze.

È da un decennio, ormai, che l'argomento eutanasia ciclicamente torna nel dibattito pubblico, complici casi eclatanti come quello di Fabiano, Dominique Velati, Eluana Englaro, Piergiorgio Welby. Il copione è sempre il medesimo: il racconto della malattia, le richieste dei malati terminali, gli appelli, lo scontro tra fazioni contrapposte, l'ostruzionismo cattolico che impedisce qualsiasi progressione pragmatica della discussione, la morte del malato, il dimenticatoio in cui inesorabilmente finisce il tema una volta esauritasi la spinta mediatica.

Da oltre dieci anni, ormai, si parla di diritto all'eutanasia e al suicidio assistito e da oltre dieci anni, ormai, nonostante gli appelli strazianti dei malati, il tema non viene mai affrontato seriamente. Fiumi di inchiostro e di parole sprecati, campagne di sensibilizzazione che non arrivano a raggiungere il risultato, ovvero l'approvazione di una legge che permetta ai malati di essere liberi fino alla fine e di decidere se e quando porre fine alle proprie sofferenze ricorrendo all'eutanasia. La vita è sacra, sostengono le fazioni contrarie, Dio dà la vita e l'uomo non può togliersela. Il dolore e la sofferenza avvicinano a Dio, chi chiede il suicidio non è un eroe, ma un vigliacco e un codardo. Parole e giudizi espressi da chi è assolutamente convinto di potersi ergere a giudice supremo, senza tener conto delle volontà di chi è costretto a sopravvivere bloccato in un letto e a vivere una vita che non sente più sua.

La volontà di un gruppuscolo di persone che si arroga il diritto di decidere sulla vita e sulle sofferenze altrui senza averne titolo sembra essere più importante delle volontà del malato che chiede di essere lasciato morire in pace. Fabiano, così come Dominique Velati, per citare i due esempi più recenti e più famosi, con l'aiuto dell'Associazione Luca Coscioni, hanno avuto l'opportunità di porre fine alle proprie sofferenze scegliendo di andare a morire in Svizzera, lontano dalla propria casa, costretti dal proprio Paese a dover morire in esilio per poter avere la possibilità di essere liberi fino alla fine. La domanda sorge spontanea: come può definirsi civile un Paese che costringe all'esilio un malato terminale e che da anni è incapace di affrontare in maniera pragmatica un tema così delicato e preferisce nascondere la testa sotto la sabbia nella speranza di non alienarsi i voti dei cattolici, calpestando per mero calcolo elettorale i diritti dei malati e facendosi beffa delle loro richieste?

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Milanese, classe 1987, da sempre appassionata di politica. Il mio morboso interesse per la materia affonda le sue radici nel lontano 1993, in piena Tangentopoli, grazie a (o per colpa di) mio padre, che al posto di farmi vedere i cartoni animati, mi iniziò al magico mondo delle meraviglie costringendomi a seguire estenuanti maratone politiche. Dopo un'adolescenza turbolenta da pasionaria di sinistra, a 19 anni circa ho cominciato a mettere in discussione le mie idee e con il tempo sono diventata una liberale, liberista e libertaria convinta.
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