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L’identikit dei ricercatori italiani: appassionati, specializzati, ma destinati al precariato

A tracciare il profilo del ricercatore italiano è lo studio “Ricercarsi” promosso da Flc Cgil.
A cura di Antonio Palma
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Età media di 35 anni, entusiasta del proprio lavoro, super specializzato, senza figli e con pochissime prospettive di avere un contratto stabile. È l'amaro identikit del ricercatore universitario italiano così come viene fuori dallo studio “Ricercarsi”, promosso dal sindacato Flc Cgil, sui percorsi di vita e lavoro del precariato universitario e presentato durante Jobs Map, l’assemblea nazionale delle lavoratrici e dei lavoratori della conoscenza. “Tutti pensano che il destino dei ricercatori italiani sia abbastanza grigio, ma nessuno sa dire esattamente quanto. Per la prima volta un dossier scientifico, stilato coi metodi della ricerca sociale, lo spiega" riferiscono gli autori dello studio, anche loro ricercatori universitari e per la maggior parte precari. La ricerca ha preso in considerazione sia dati qualitativi che quantitativi attraverso vari passaggi: un questionario diffuso on line che ha raccolto 1861 risposte, la raccolta dei dati sui contratti dal 2002 al 2012 attraverso il Ministero dell'Istruzione e infine 40 interviste in profondità somministrate a precari della ricerca in 10 atenei italiani di diverse dimensioni, su tutto il territorio nazionale.

Precariato e vita privata

Un primo dato è arrivato proprio dai numeri del Miur: in dieci anni hanno avuto un contratto precario nell’università ben 65.300 persone ma di queste solo il 6,7% si è visto poi stabilizzare dall'Ateneo. Un numero allarmante chi indica come nel corso degli anni c’è stata sempre di più una sostituzione di lavoro stabile con lavoro precario. Insomma si forma lo studente, lo si inserisce nel circuito della ricerca accademica, ma poi gli si danno ben poche possibilità di un futuro. Tutto questo nonostante le esperienze e i successi visto che ben il 10,4 per cento degli intervistati afferma di aver avuto tra i 13 e i 31 contratti. Questa situazione ovviamente si riflette poi sulla vita personale dei ricercatori che spessissimo si trovano nell’impossibilità di pianificare un futuro in autonomia.  Il 17,4 per cento, infatti, rivela di abitare ancora con la famiglia, e anche se la maggior parte vive in situazioni di convivenza di coppia, il 73,1% non ha figli.

Il futuro e le proteste dei sindacati

Una situazione che incide anche sulla visione futura dei ricercatori visto che la maggioranza, il 53,2 per cento, in questo momento dichiara che “non riesce ad immaginare il proprio futuro lavorativo”, mentre il 9% si vede su un aereo per l’estero. Tutto questo nonostante la stragrande maggioranza dei precari dell'università sia super specializzata e appassionata del proprio lavoro. Il 73 per cento degli intervistati infatti è in possesso di un dottorato e molti hanno avuto anche esperienze accademiche e lavorative all’estero. "Questo dimostra che stiamo buttando nel secchio un patrimonio inestimabile persone che abbiamo formato, che sono appassionate del loro lavoro, che potrebbero fare crescere la ricerca italiana, ma che non vedono prospettive" ha osservato uno degli autori dello studio. "Questo è stato il decennio della disgrazia dell’università italiana. Noi vogliamo sì prendere coscienza dei numeri dello scandalo, ma vogliamo anche far partire un’agenda di mobilitazione per i prossimi mesi. Le condizioni in tutti i comparti pubblici della conoscenza sono esasperate e noi abbiamo intenzione di sfidare il governo Renzi rispetto a un piano di stabilizzazione e all’introduzione di diritti e tutele per tutte le tipologie contrattuali. Sarà un autunno caldo” promette la Flc Cgil.

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