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Opinioni

L’esercito dei dirigenti (e dei dipendenti) che manda in rosso le Regioni

La Corte dei Conti fotografa l’esercito dei dipendenti e dei dirigenti regionali: numeri in calo, ma costi per lo Stato ancora esorbitanti. E nelle Regioni a statuto speciale “numeri da Prima Repubblica”.
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È la relazione che la Corte dei Conti ha trasmesso al Parlamento, sull'analisi dei flussi di cassa degli enti territoriali per gli anni 2011 – 2012 – 2013, a restituire una istantanea delle problematiche (e al contempo dei cambiamenti) connesse alla revisione della spesa pubblica in Italia. In particolare, sotto la lente d'ingrandimento dei magistrati contabili finisce quella che è possibile definire la "distribuzione non uniforme del personale sul territorio nazionale", nonché il rapporto peculiare fra i dipendenti ed i dirigenti, sia a livello regionale (con le punte che si raggiungono al Sud), sia a livello "interno". È in effetti la macchina amministrativa regionale a drenare risorse e produrre casistiche meritevoli di riflessione: solo per quel che concerne la presenza dei dirigenti, ad esempio, nelle Regioni il rapporto medio è di uno ogni 17 unità di personale, nelle province di uno ogni 40 e nei Comuni di uno ogni 60.

Il peso dei dirigenti nelle Regioni

Complessivamente, scrivono i magistrati contabili, nell'ultimo triennio il numero dei dirigenti (direttori generali, dirigenti a tempo indeterminato e dirigenti a tempo determinato) è calato del 5,5%, con una flessione maggiormente accentuata al Sud rispetto al resto del Paese. Ma è sul numero "residuale" delle figure dirigenziali che sarebbe necessario aprire una seria discussione. Partiamo dalle Regioni settentrionali dover, pur in presenza di una riduzione di organico del 5,3% su base triennale, restano ancora 837 figure dirigenziali, con il massimo che si tocca in Lombardia (227) e Piemonte. Al Centro sono 556 le figure dirigenziali, quota stabile nei tre anni, con il massimo di 273 dirigenti del Lazio dell'era Polverini. Al Sud invece i dirigenti sono complessivamente 806, in diminuzione del 9,4%, con il picco della Campania dell'era Caldoro con 260 elementi.

Ma è quando si passa a parlare delle Regioni a statuto speciale e delle province autonome che i numeri si impennano in maniera sensibile. Nella sola Sicilia, i dirigenti sono 1824, nella provincia autonoma di Trento sono 404, in quella di Bolzano sono 248 (cifre peraltro sostanzialmente stabili nell'ultimo triennio), per un totale di 2828 unità.

Il peso del personale non dirigente

Anche per quel che concerne il personale non dirigente si evidenzia un decremento nelle regioni settentrionali e meridionali ed un incremento consistente nelle regioni dell'Italia centrale, in larghissima parte dovuta alla gestione Polverini nel Lazio (che accresce il numero di dipendenti del 28,66% in soli 3 anni). Nello specifico, la tabella mostra quanto incidono i dipendenti nelle singole regioni e spiccano le quote abnormi (se in relazione al numero di abitanti) per Campania, Puglia, Basilicata e Calabria, nonché la già evidenziata crescita dell'organico laziale. Ecco i dati:

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Ancora una volta le cifre che riguardano province autonome e Regioni a statuto speciale sono incredibili. I dipendenti di questo gruppo sono infatti praticamente gli stessi della totalità delle altre regioni. Ancora una volta a fare la parte da leoni sono i siciliani, con 15.790 dipendenti; a seguire gli oltre 8mila delle province autonome di Trento e Bolzano e i 4256 della Sardegna.

Ma c'è un altro dato che merita la giusta considerazione ed è quello del rapporto fra dirigenti e non dirigenti:

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Infine il dato sul rapporto con il numero di abitanti. Come spiegano i magistrati contabili è qui che si evidenziano le tante storture del sistema. Se ad esempio in Lombardia abbiamo 0,5 dipendenti regionali per ogni mille abitanti, in Campania e in Sardegna ne troviamo quasi 4, in Sicilia 5,25, nelle province di Trento e Bolzano oltre 13 e in Valle D'Aosta abbiamo 35 dipendenti regionali per ogni mille abitanti in età lavorativa.

Non sempre però anche la spesa media delle Regioni per i dipendenti segue questo orientamento, in ragione del ricorso di alcune amministrazioni al lavoro a tempo determinato e / o interinale a più bassa retribuzione. È emblematico infatti il caso meridionale: ad una complessiva riduzione degli organici non segue una diminuzione dei costi, che invece aumentano, sia pure leggermente. Ciò è determinato in primo luogo dalle retribuzioni dei dirigenti, come nel caso campano (un aumento del 5% su base annua) o quello sardo (un aumento del 6,1% su base annua).

La chiosa finale poi, la lasciamo ai magistrati:

Dall’esame dei dati esposti in SICO, emergono situazioni alquanto diversificate tra Regioni a statuto ordinario e speciale (incluse le Province autonome) sia per quanto concerne il numero del personale in servizio nel triennio considerato (2010-2012). Generalmente, si evidenzia una distribuzione non uniforme del personale sul territorio nazionale, con punte di maggiore concentrazione nelle Regioni del Sud e in Sicilia. Tale circostanza si riflette anche sul rapporto di incidenza tra dipendenti e dirigenti che, in taluni casi (riferibili al personale delle Regioni e di alcuni Comuni), pur essendo ampiamente favorevole rispetto alla media, non può essere considerato in sé indicativo di un’ottimale organizzazione del lavoro.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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