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L’anima di Napoli nell’eredità di Sebastiano Vassalli

Un romanzo su Napoli per completare il suo “viaggio in Italia”. Sebastiano Vassalli lascia in eredità un’opera che, ancora una volta, scaverà negli abissi della storia.
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Il prossimo 12 settembre avrebbe dovuto ritirare il Premio Campiello alla carriera e pochi giorni dopo veder pubblicato il suo ultimo romanzo Io, Partenope. Invece non andrà così. Se ne è andato a 73 anni Sebastiano Vassalli, uno dei grandi scrittori italiani dal dopoguerra, in maniera tanto fulminea da lasciare ammutoliti i lettori dei suoi libri e gran parte di quel mondo letterario che non amava frequentare. Negli ultimi tempi, peraltro, dopo il cambio di casacca editoriale (da Einaudi a Rizzoli) il suo nome era stato inserito nella rosa dei candidati al Premio Nobel. In verità, Vassalli non amava nemmeno i premi letterari. Dopo aver vinto i più prestigiosi, tra cui il Premio Strega nel 1990 con Chimera, aveva deciso di non partecipare più alle competizioni tra libri. Questa scelta, il suo preferirei di no, racconta molto bene l'indole dell’uomo e dello scrittore. Così come lo racconta la decisione, maturata l’anno scorso, di tornare a prendervi parte. Quando l’ho incontrato a Napoli in occasione dell’uscita del suo Terre Selvagge ci tenne a dirmi, con la raffinata autoironia di cui era capace, nonostante l’aria da burbero con i baffi, che «solo gli stupidi non cambiano mai idea». E lui non si sentiva uno stupido, aggiunse ordinando un bicchiere di vino in un bar di via Tribunali. Neanche presentare i suoi libri in pubblico lo attraeva. In quell’occasione espresse il desiderio di non rispondere a domande specifiche, ma di poter spaziare liberamente sui suoi temi. Anche qui. La fatica di trovarsi negli spazi angusti del particolare e del «piccolo, troppo piccolo» da cui rifuggiva sempre. In quei due giorni napoletani girò per la città con una macchina fotografica alla ricerca di testimonianze visive per quello che sarà il suo ultimo romanzo. Uscirà postumo e sarà dedicato a Partenope. A suo avviso, gli mancava soltanto Napoli per completare la sua personale storia d’Italia.

Personalità schiva, ma ironica e garbata, Sebastiano Vassalli era nato a Genova, anche se da sempre viveva nel novarese tra le risaie ai piedi del Monte Rosa, dove componeva le sue opere sprovvisto di un personal computer e da cui, di tanto in tanto, si spostava per andare in città a sbrigare qualche commissione. Era un uomo d’altri tempi, come si è soliti dire per chi vive il suo tempo da una prospettiva appartata. Uno scrittore vecchia maniera, privo di smanie e voglia di apparire. Anche se non se ne stava lontano dalla mischia, semplicemente la prendeva in maniera diversa, senza lo sguardo reso miope dal presente o dalla cronaca. Tranne gli interventi su quotidiane e riviste, le sue riflessioni più acute appartengono alle narrazioni di matrice storica contenute nei suoi romanzi. Dalle prime prove neoavanguardiste – aveva preso parte al Gruppo ’63 da cui si era distaccato senza troppi rimpianti – la sua poetica andò pian piano ispirandosi, a partire dalla metà degli anni ’70, al racconto di grandi storie lontane dal chiacchiericcio ombelicale degli scrittori. Per lui non c’era vicenda del passato che non mostrasse di aver una forte connessione con l’oggi. Ma il grande scrittore non forza la mano, non spinge sull’acceleratore della Storia per rimarcare i suoi rapporti con il presente. Sebastiano Vassalli raccontava storie del passato che con la sola forza delle immagini stimolavano nel lettore un confronto con la contemporaneità. Di solito i grandi fanno così, narrano nella pagine e riflettono fuori di esse. E in esse si riflettono come persone. Un po’ come gli è successo sul finire degli anni ’70, quando raccontò Dino Campana ne La notte della cometa, forse il suo romanzo più celebre. Probabilmente nell’autore dei Canti orfici e nella sua presunta follia Vassalli rivide un po’ di se stesso, dei suoi turbamenti di uomo senza padre che ha per tutta la vita ha avuto davanti a sé pianure infinite quanto opprimenti da scrutare. Eppure, nonostante il volto accigliato e le perdite personali, negli ultimi tempi Vassalli nutrì una concezione illuminista della Storia, secondo cui il genere umano tende a progredire sempre e comunque. «Malgrado se stessa, l'umanità migliora giorno dopo giorno» mi disse durante quel nostro unico incontro. Ed è forse questo il suo lascito più importante, soprattutto in un’epoca come la nostra dominata dalla vulgata dell’apocalisse e dei tempi bui. l lettori di oggi e di domani leggeranno i romanzi di Sebastiano Vassalli e attraverso le sue pagine scruteranno gli abissi remoti della nostra storia, cogliendone le ombre più buie e proiettando in avanti un piccolo ma consistente raggio di sole.

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Scrittore, sceneggiatore, giornalista. Nato a Napoli nel 1979. Il suo ultimo romanzo è "Le creature" (Rizzoli). Collabora con diverse riviste e quotidiani, è redattore della trasmissione Zazà su Rai Radio 3.
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