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L’amore e il dilemma di Otello

Nell’era della tecnica dilagante l’amore rischia di diventare radicalizzazione dell’individualismo, assumendo la forma di un egoismo cinico in cui non si ama, ma si cerca il proprio io nel tu dell’altro. È la “sindrome di Otello” al confronto con l’amata Desdemona.
A cura di Diego Fusaro
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Dipinto di William Mulready. The Walters Art Museum.
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Come ha ricordato Umberto Galimberti nel suo saggio "Le cose dell’amore", nell’era della tecnica e del cinismo dilagante l’amore ha radicalmente mutato forma e modi.

Per un verso, l’amore sembra oggi essere il solo spazio in cui l’io individuale può essere autentico, fuori dai ruoli sociali imposti dal sistema, fuori dalla drammaturgia sociale che la quotidianità ci impone. Per un altro verso, l’amore diventa radicalizzazione dell’individualismo, giacché assume la forma di un egoismo cinico in cui non si ama, ma si cerca il proprio io nel tu dell’altro.

Per questa via, coerente con il tempo del profitto assoluto e dell’individualismo acefalo, l’amore cessa di essere relazione e si fa autistica conferma di sé mediata dall’altro: con le parole di Galimberti, “ciò che si cerca non è l’altro, ma, attraverso l’altro, la realizzazione di sé”. Per contrasto, il vero soggetto amante è quello che formula la domanda d’amore a partire dalla propria mancanza d’essere, la manque à etre messa a tema da Sartre.

Lungi dall’essere narcisismo e “performance” dell’io autistico, l’amore è altruismo disinteressato e, come ha ricordato Alain Badiou, esperienza di verità duale: il mondo che prima vivevamo secondo il registro della prima persona singolare si fa ora duale. Un mondo a due, appunto. In cui l’altro non sparisce in una presunta unità totalizzante, ma esiste in sé e come parte della relazione amorosa: si è uniti pur rimanendo separati.

Non stupisce che oggi, nella generale incapacità di sperimentare questa verità duale, prevalga l’egoismo di un amore che non è mai veramente tale e che, invece, si pone come narcisismo esasperato. È, se vogliamo dire così, la sindrome di Otello. Chiunque abbia letto il capolavoro di Shakespeare sa che la tragedia di Otello scaturisce dalla sua incapacità di accettare il fatto che l’amata Desdemona sia una persona altra da lui, con una vita propria e un proprio sentire.

Ella non è proiezione della sua mente, né vivente che dipende interamente da lui: è, invece, un essere vivente in carne e ossa, capace di pensare, di agire e di sentire indipendentemente. Ed è ciò che Otello non può accettare, con tutto ciò che ne consegue. La tragedia di Otello è la tragedia della gelosia, che è poi il modo in cui l’egoismo si dispone in ambito amoroso. Nella gelosia, in effetti, notava François de La Rochefoucauld, vi è più egoismo che amore.

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Sono nato a Torino nel 1983 e insegno Storia della filosofia in Università. Mi considero allievo indipendente di Hegel e di Marx. Intellettuale dissidente e non allineato, sono al di là di destra e sinistra, convinto che occorra continuare nella lotta politica e culturale che fu di Marx e di Gramsci, in nome dell’emancipazione umana e dei diritti sociali. Resto convinto che, in ogni ambito, la via regia consista nel pensare con la propria testa, senza curarsi dell’opinione pubblica e del coro virtuoso del politicamente corretto.
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