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Opinioni

Jo Cox è morta, il Regno Unito metta fine a questo referendum fatto di odio e violenza

I fatti devono essere appurati, ma questo omicidio farà comunque discutere sul carattere troppo violento di questa campagna referendaria per l’uscita dall’Unione Europea.
A cura di Michele Azzu
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È morta Jo Cox, la parlamentare 41enne inglese aggredita con un coltello e poi ferita da due colpi di pistola fatali nel pomeriggio di oggi a Bristall, vicino la città di Leeds. Si era precedentemente già capito che le ferite erano troppo gravi ma ora è arrivata la conferma.

La campagna referendaria in corso in questi giorni nel Regno Unito, quella che porterà i cittadini britannici a votare per separarsi o no dall’Unione Europea il prossimo 23 giugno, si è interrotta, e i messaggi di cordoglio arrivano da tutte le parti politiche. Il premier David Cameron twitta: “Abbiamo perso una stella”, mentre il leader dell’opposizione Labour Jeremy Corbyn, il partito della Cox, dice: “Sono scioccato. Siamo vicini alla sua famiglia”.

L’uomo al momento ritenuto responsabile dell’omicidio, e che ha ferito anche una seconda e una terza persona (una di queste mentre cercava di aiutare la Cox), è stato arrestato: si tratta di Thomas Mair, un 52enne che secondo due differenti testimoni oculari – secondo quanto riportato dai media britannici The Guardian e The Independent – è stato sentito più volte urlare “Britain first”, poco prima di scagliarsi sulla donna.

“Britain first”, in inglese, è uno slogan politico nazionalista, che possiamo tradurre come “Prima la Gran Bretagna”, una sorta di “prima il nord” padano tradotto per il Regno Unito. Ma è anche il nome di un partito e movimento politico di estrema destra abbastanza noto, che fa propri slogan e attività di protesta contro l’immigrazione, in particolare contro i musulmani. Britain First ha condannato l’accaduto, e ha dichiarato di non sapere nulla della persona al momento in stato di arresto.

Gli inquirenti stanno indagando sulle dinamiche dell’accaduto e sul movente, se ne esiste uno, dell’omicidio. E ci sono già alcuni rapporti secondo cui Mair sarebbe una persona con problemi mentali alle spalle, uno definito “solitario” dai suoi vicini di casa intervistati. Il collegamento con “Britain first” è al momento al vaglio degli inquirenti, riporta The Guardian.

Probabilmente si tratta di un caso isolato dovuto alla mente squilibrata di una persona malata che ha compiuto un gesto orribile, e incomprensibile. Ma nel frattempo, su twitter c’è già un fiume in piena di tweet contro i nazionalisti di Britain First, e contro tutta la violenza che negli ultimi giorni e settimane si è riversata sul Regno Unito del referendum per uscire dall’UE.

Già, perché quello a cui si è assistito negli ultimi giorni in Inghilterra è uno spettacolo che spesso si è rivelato violento: nei toni, nelle azioni, nelle manifestazioni. Per questo il fatto di oggi, che ha scioccato una nazione, anche se si rivelerà essere dovuto alla follia, sembra proprio non essere accaduto per caso. Ed è destinato a fare discutere e riflettere il popolo britannico.

Perché chi era Jo Cox, la parlamentare eletta nella circoscrizione di Batley and Spen? Una stella nascente del partito democratico inglese – il Labour – e anche una madre, una persona brillante, che teneva molto ai diritti dei cittadini, dei giovani, dei lavoratori. E degli immigrati. Proprio lei in questi giorni, come tutti i membri del partito Labour, stava facendo campagna elettorale per rimanere dentro l’Unione Europea. Jo Cox si era anche interessata più volte nella camera dei deputati inglese, di richiamare l’attenzione sui rifugiati che il Regno Unito non vuole accettare.

Lei stessa aveva lavorato nella organizzazione contro la povertà Oxfam, e aveva prestato attività di volontariato per “Save the children”, dove aveva conosciuto suo marito, anche lui membro del partito Labour. Assieme a lui, Cox viveva in una piccola barca in nei pressi di Londra, una soluzione che molte giovani coppie oggi utilizzano per risparmiare nella carissima capitale inglese (e i parlamentari inglesi non guadagnano tanto come i colleghi italiani).

Ecco alcuni frammenti dal suo discorso di introduzione in parlamento, letto pochi mesi fa dopo le elezioni: “Batley and Spen (la circoscrizione che elesse Cox) è stata migliorata dall’immigrazione, sia quella degli irlandesi cattolici che quella dei musulmani provenienti dal Gujarat in India o dal Pakistan, soprattutto dal Kashmir… abbiamo molte più cose in comune che a dividerci”, diceva Cox.

E poi, nello stesso discorso, parlava dei giovani senza lavoro da inserire nelle aziende locali, dei finanziamenti alle piccole imprese, del servizio di treni… e della necessità di rimanere nell’Unione Europea. Questo era Jo Cox, una militante onesta, appassionata e umanitaria. Sarà dura, quindi, dopo l’estenuante campagna referendaria di questi giorni, non vedere una connotazione politica dietro questo omicidio, anche se dovesse venire confermato che si è trattato del gesto di un folle.

Perché Cox militava per i diritti degli immigrati, dei rifugiati e per restare nell’Unione Europea. E poi c’è quel dettaglio: i due testimoni oculari che affermano di avere sentito l’assassino gridare: “Britain first”. Si diceva, oltre a essere un semplice slogan politico Britain First è anche un noto partito e movimento di estrema destra spesso legato a frange di chiara ispirazione neo-nazista, come il gruppo di vigilantes “Britain First Defence Force”.

Questo partito si è più volte macchiato di atti violenti e minacce contro gli immigrati, in particolare quelli di religione musulmana. Solo pochi giorni fa, ad esempio, a seguito dell’elezione del musulmano Sadiq Khan – anche lui come Jo Cox del partito Labour – come nuovo sindaco di Londra, Britain First aveva rilasciato un comunicato stampa in cui affermava di voler prendere di mira Khan e di considerarlo un “occupante”.

Durante la cerimonia di insediamento aveva fatto molto discutere Paul Golding, cadidato sindaco proprio di Britain First e leader del partito, che si era voltato di spalle in segno di spregio verso Khan. E non si tratta dell’unico politico musulmano minacciato dal gruppo. Britain First ha inoltre messo in atto negli ultimi anni numerose azioni di proteste spesso al limite della legalità contro moschee e quartieri inglesi abitati prevalentemente da musulmani.

Solo poche settimane fa i militanti di Britain First si erano radunati fuori da una moschea di Londra e avevano aggredito le persone all’uscita, subendo due arresti. Due anni fa un documentario dell’emittente VICE dal titolo “La guerra del suolo sacro di Londra” aveva seguito i militanti del gruppo in giro per le strade di Londra, e li aveva filmati mentre giravano su una camionetta paramilitare e scorrazzavano per la capitale minacciando i musulmani.

Ora, i fatti di oggi, di questo terribile omicidio, devono essere indagati e chiariti per bene. Il collegamento fra l’assassino, che alcuni rapporti dicono avesse un passato di problemi mentali, e il partito e i movimenti di Britain First non sono confermati, e sarà necessario attendere il proseguo delle indagini nei prossimi giorni.

Ma intanto, questo dramma ha fatto fermare una nazione. A riflettere. Sul fatto che forse nelle ultime settimane si è andati un troppo oltre nel fare campagna contro gli immigrati, o nelle copertine populiste dei giornali di Rupert Murdoch, nell’incessante dare la colpa della crisi e della disoccupazione agli immigrati – europei e musulmani, non importa più.

Forse, si è andati troppo oltre, e anche se l’omicida non avrà nulla a che vedere con Britain First, questa deve essere una buona occasione per fermarsi a riflettere. Perché una morte tragica deve avere un significato per poter essere accettata dai vivi – soprattutto quella di una persona per bene. E perché l’odio e la violenza, a forza di essere seminate nelle parole e nei pensieri, nei media e nelle tribune elettorali, finiscono per generare mostri che non si possono controllare.

Ora basta con i messaggi contro gli immigrati, basta con l’odio, basta con questa pesantissima campagna per il referendum della Brexit. Ora il Regno Unito si fermi a riflettere.

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Michele Azzu è un giornalista freelance che si occupa principalmente di lavoro, società e cultura. Scrive per L'Espresso e Fanpage.it. Ha collaborato per il Guardian. Nel 2010 ha fondato, assieme a Marco Nurra, il sito L'isola dei cassintegrati di cui è direttore. Nel 2011 ha vinto il premio di Google "Eretici Digitali" al Festival Internazionale del Giornalismo, nel 2012 il "Premio dello Zuccherificio" per il giornalismo d'inchiesta. Ha pubblicato Asinara Revolution (Bompiani, 2011), scritto insieme a Marco Nurra.
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