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Italia: pressione fiscale calerà solo se ci sarà ripresa

Il governo promette un calo della pressione fiscale nel 2014. Vogliamo crederci, ma occorre fare chiarezza: servirà almeno una crescita “reale” del Pil dell’1% o più…
A cura di Luca Spoldi
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Che senza ripresa anche le entrate fiscali siano destinate ad andare sempre più in crisi, col rischio concreto di un avvitamento verso il basso fatto di previsioni errate, manovre “correttive” per coprire buchi apertisi in conto d’anno e sempre più retorici “auguri” che la luce in fondo al tunnel non sia un semplice miraggio i miei lettori da tempo lo sanno bene. Ma di quali cifre si stia parlando a volte non è chiaro visto che nel “Bel Paese” le cifre cambiano a seconda della fonte e dell’interesse di chi sbandiera un numero o un altro. Cerca di fare luce sugli ultimi proclami governativi che promettono che il 2014 sarà “l’anno della svolta” che porterà ripresa e minore pressione fiscale l’economista e blogger Mario Seminerio, che in un post su Phastidio.net fa due rapidi calcoli basandosi sulle stime ufficiali contenute nell’ultima nota di aggiornamento del Def.

Anzitutto occorre intenderci sul concetto di “minore pressione fiscale”: secondo il governo, infatti, questa voce (che altro non è se non il rapporto tra entrate tributarie e contributi sociali rispetto al Prodotto interno lordo) dovrebbe “calare” (le virgolette sono del vostro analista finanziario preferito) dal 44,3% previsto a fine 2013 al 44,2% atteso a fine 2014. Per avere questa “sostanziale” (ma anche no, visto che a secondo delle fonti la pressione fiscale complessiva sarebbe già oltre il 57%, o forse al 66% quando non addirittura al 75%) riduzione, sempre secondo il governo, basterà registrare una crescita nominale del Pil del 2,9% nel corso di quest’anno.

Che ci vuole, direte voi, un po’ di inflazione ed è fatta! Ed in effetti anche il governo deve pensarla almeno in parte così visto che prevede una crescita del deflattore del Pil (che, giusto per confondere un poco le idee al pubblico, non coincide col dato dell’inflazione calcolato dall’Istat, stimato in dicembre pari appena allo 0,7% annuo, dato che ad esempio il deflattore non comprende i prezzi di beni e servizi importati dall’estero e si calcola sui beni e servizi erogati anche dal settore pubblico, non solo quelli consumati dalle famiglie) dall’1,6% stimato per l’anno appena concluso all’1,9%. Il che, peraltro, significa ipotizzare che il Pil reale cresce nel 2014 di un 1% tondo, quando i maggiori previsori internazionali prevedono un incremento molto più contenuto (l’Ocse parla ad esempio di un +0,6%, mentre la Ue e l'Fmi non vanno oltre il +0,7%).

Quisquilie e pinzillacchere avrebbe forse detto Totò, stiamo in fondo parlando di frazioni di punto percentuale, che sarà mai. Se non fosse che per generare una “riduzione” dello 0,1% si sta ipotizzando un incremento di dieci volte superiore del Pil reale, a livelli che non si registrano da anni se non come recupero di crisi precedenti: secondo il Fondo monetario internazionale, ad esempio, l’Italia solo nel 2015 riuscirebbe a risalire ad un +1,1% di Pil “reale”, dopo un +0,7% nel 2014 e dopo soprattutto aver visto il Pil calare dell’1,8% nel 2013 e del 2,4% nel 2012. Oltre l’1% reale il Pil italiano l’ultima volta era cresciuto nel 2010 (+1,7%), ma stava rimbalzando parzialmente dopo il tracollo del 2009 (-5,5%) e del 2008 (-1,2%). Prevedibile fin d’ora che sul tema della pressione fiscale e/o della crescita registreremo nei prossimi mesi fiumi di retoriche dichiarazioni, specie se si dovesse andare a votare in primavera, ipotesi non del tutto da escludere secondo alcuni osservatori.

Per fare chiarezza servirebbe come nota anche Semineriovalutare scenari alternativi, sulla base di ipotesi di elasticità del gettito tributario e contributivo a variazioni del Pil nominale”, numeri che di certo “sono nella disponibilità del capo del governo e del ministro dell’Economia”. Siamo a inizio anno ed è bene essere ottimisti e propositivi: il signor Letta e il signor Saccomanni saranno così gentili da rendere noti e liberamente consultabili tali dati e i modelli sulla cui base sono stati elaborati? Sarebbe un atto di trasparenza lungimirante e da paese “normale” quale l’Italia si vanta di essere ancora. Aspettiamo fiduciosi facendo gli scongiuri affinché invece in un anno già cruciale per l'euro come il 2014 non giunga l’ennesima “manovrina” di aggiustamento che un paese come l’Italia, con oltre 2 mila miliardi di debito pubblico su cui gli interessi pesano attorno al 4% ossia un’ottantina di miliardi di euro l’anno, purtroppo sempre rischia in assenza di una ripresa degna di tal nome, per sperare nella quale sarebbe peraltro utile vedere varate giuste riforme e nel giusto ordine come vi ricordo da fin troppo tempo.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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